Author Archives: Alessia

Nata a Savona l'11 gennaio 1973

USA – 13 febbraio 2014 – Disney World Magic Kingdom

Siamo al Magic Kingdom Park, il parco Disney per antonomasia, quello,il cui simbolo è il castello delle fiabe, che poi per l’esattezza è il castello di Cenerentola.

Esistono altri 3 parchi Disney, tutti qui vicino, e poi molti altri parchi non Disney, da Harry Potter (che ahimè non faremo per questioni di poco tempo e perchè Alicia ancora non lo conosce e probabilmente avrebbe paura) a Universal Studio, a parche acquatici ed alto ancora.

Diciamo che è la versione per bambini di Las Vegas, anche se poi ovviamente c’è pieno di adulti.

Il solo Magic Kingdom secondo me è più piccolo di Eurodisney, ma io ci sono stata solo una volta nel 1997.

Purtroppo Alicia ha paura di fare molte attrazioni, anche quelle adatte alla sua età. Proviamo ora a portarla a Under the Sea, un trenino nella grotta della Sirenetta, il suo personaggio preferito.

Speriamo bene.

Un saluto da… where the dreams come true!

USA – 1-7 febbraio 2014 – San Diego, Palm Springs e Las Vegas

Quando abbiamo pensato a questo viaggio, non abbiamo avuto il tempo di scendere troppo nei dettagli. Abbiamo pero’ pensato che una settimana tra l’arrivo a Los Angeles e la ripartenza per Houston sarebbe comunque stata bene spesa, e che oltre a San Diego qualcosa avremmo fatto. Quando nel 2000 abbiamo fatto il viaggio di nozze, abbiamo fatto anche un piccolo tour organizzato di 4 giorni (mai scelta e’ stata piu’ azzeccata, visto che proprio li’ abbiamo conosciuto Marco, uno dei nostri piu’ cari amici, una di quelle persone che pensi che era destino conoscere e che benedici la scelta che lo ha fatto succedere) e in questo tour c’era una notte a Las Vegas. Avevamo dormito in un hotel non a tema, l’Hilton, e non avevamo giocato nemmeno un dollaro, anche perche’ la nostra efficentissima guida (Renata, di Roma anche lei come Marco) ci ha fatto assistere a tutti gli spettacoli gratuiti possibili e immaginabili negli hotel sulla strip. Ci eravamo detti: Las Vegas va bene vederla una volta, ma non vale la pena tornarci. Gia’, ma Alicia non c’e’ mai stata. Cosi’, una volta in California, il tempo non consente di andare a spiaggia, gia’ nel 2006 ci siamo fatti tutta la costa (da Santa Barbara ad Hungtinton Beach, Newport, ecc), a questo punto una puntatina a Las Vegas si puo’ fare. E poi un po’ di curiosita’, di rivederla quasi 14 anni dopo, con l’esperienza di viaggio che abbiamo adesso, ce l’abbiamo. Ma San Diego – Las Vegas e’ un po’ una mazzata (circa 6 ore), cosi’ decidiamo di fare una sosta nel mezzo.
Abbiamo sempre sentito nominare Palm Springs: non abbiamo idea di cosa ci sia, ma ce lo immaginiamo un posto da ricchi nel deserto. Per fortuna rispetto all’Australia e alle Hawaii, la California e’ davvero economica in quanto a pernottamento (per 3 notti al Best Western a San Diego abbiamo speso 169 euro in tutto: in Australia al massimo ci facevi una notte e mezzo!).
Cosi’ consultiamo il fidato booking.com (non ci ha mai deluso, anche quando il posto non era un granche’, lo sapevamo prima) e troviamo il Desert Isle Resort, che offre un mini appartamento per meno di 100 euro. Potremmo spendere meno, ma l’idea di avere un appartamentino con una cucinetta ci attira troppo. Si vive solo una volta e soprattutto noi faremo un giro del mondo solo una volta (ahime’!). Cosi’ prenotiamo. Ci attira anche l’idea della piscina riscaldata (visto che di giorno il tempo e’ abbastanza bello, ma comunque si arriva a 20-21 gradi e di notte poi fa freddo, circa 10 gradi).
L’idea iniziale e’ di partire subito per Palm Springs, per goderci appunto questi benefit, ma poi a Oceanside, che e’ di strada, poco a nord di San Diego, c’e’ il museo del surf. Inoltre il martedi’, proprio quando ci passeremmo noi, e’ pure gratuito. Da buoni liguri non possiamo perdere l’occasione! 🙂
Scherzi a parte, Gabry ha fatto alcuni anni fa amicizia su facebook con Silvia, di origini italiane, che abita a Carlsbad, praticamente attaccata a Oceanside. Sa di questo viaggio e siamo d’accordo di incontrarci. Insomma tutto combacia perfettamente.
Poiche’ nei 2 giorni precedenti ce la siamo presa comoda, partendo da San Diego dobbiamo almeno ancora passare a Mission Bay e a La Jolla.
Mission Bay e’ simile a come ce la ricordavamo, ma ora diamo importanza ai giochi per bambini, dove Alicia si diverte, ma prende anche una bella schienata cadendo dall’altalena (tranquillizate i nonni, nessuna conseguenza, e’ caduta sulla sabbia). Invece il visitor center che consentiva di prenotare gli hotel e dava il benvenuto a San Diego (per chi arrivava dalla costa nord) riporta il cartello che 3 anni fa, dopo 40 anni di onorato servizio, ha chiuso. Un po’ ci sentiamo in colpa: anche noi stiamo prenotando tutto su internet, con l’ipad: ormai certe strutture non hanno piu’ troppo senso di esistere.
La Jolla la vediamo passando proprio sulla costa (e facendo arrabbiare il navigatore, che vuol farci prendere la strada piu’ veloce, ma meno suggestiva).
Posso dirlo: “Ho visto case che voi italiani non potete neanche immaginare”! 🙂 (Va beh, Rutger Hauer non diceva proprio cosi’, ma il concetto era lo stesso).
Beh, per non farci mancare nulla, vediamo pure le foche spiaggiate sulla spiaggia (dopo i delfini e i koala, sempre visti in liberta’, non potevamo farci mancare le foche).
Insomma, ci vorremmo stare giorni qui, non poche ore: arriviamo al museo del surf un’ora prima della chiusura.

Il tipo che ci accoglie e’ davvero simpatico, e poco dopo arriva Silvia: e’ dolcissima come la immaginavamo. Chiacchieriamo un po’ (si fa per dire, io con il mio inglese, lei con il suo italiano), ma il tempo passa in fretta e ci dobbiamo salutare.

L’arrivo a Palm Springs e’ spettacolare, nel senso che quando apriamo la porta dell’appartamento rimaniamo di stucco per la sorpresa: appartamento piu’ grande di casa nostra: una camera da letto, ingresso a sala con caminetto a gas che ci accende come se fosse una luce, cucina mega accessoriata (non solo frigo, forno, forno a microonde e fornelli ad induzione, ma anche lavastoviglie e tritarifiuti, ed ovviamente pentole, bicchieri, posate, tostapane, frullatore, ecc, ecc), e 2 bagni, di cui uno con vasca e uno con mega doccia-sauna!

Dalla sala si accede direttamente al giardino interno alla struttura, con fontana, piscina riscaldata e piscina idromassaggio. Ogni villetta ha il suo patio, con sdraio e barbeque!

Insomma, un vero paradiso, tant’e’ che ci facciamo anche un bel bagno in piscina alle 8 di sera. Certo,e’ buoi da ormai un paio d’ore, e ci saranno 10 gradi, ma la piscina e’ riscaldata ed e’ tutta per noi, ed ovviamente alla reception ci hanno dato gli asciugamani appositi.

Ah, Palm Springs, un sogno! E poi ci possiamo cucinare una bella pasta!

Peccato essere arrivati tardi (ma San Diego meritava troppo) e stare solo una notte: beh, forse meglio cosi’. Non e’ il caso di abituarsi: questo non e’ certo il nostro target abituale.

L’indomani facciamo un veloce giretto per Palm Springs: giusto il tempo che Gabry possa sbirciare sotto la gonna dell’enorme statua di Marylin Monroe 😉 e di vedere da dove parte una funicolare ripidissima: sarebbe troppo da fare, ma ci vorrebbe troppo tempo e quasi un centinaio di dollari in tre. Pazienza, partiamo per Las Vegas.

Las Vegas e’ come la ricordavamo: vorremmo girare 2 orette, ma alla fine farci quasi tutta la strip dal Luxor (che e’ ad un’estremita’) al Treasure Island (che non e’ alla fine, ma oltre non ce la facciamo) ci porta via quasi 4 ore andata e ritorno. Ovviamente non sarebbe cosi’ lungo, ma tra le fontane del Bellagio, un giro a Venezia, un’entrata e uscita al Caesar’s Palace, qualche foto all’Harley Davidson Cafe’, insomma a mezzanotte e mezza prendiamo l’ultimo tram per andare dall’Excalibur al Luxor, con Alicia in braccio, che e’ stata bravissima e paziente, ma ha male a un piede e non ce la fa piu’ a camminare.

In pratica andiamo a nanna all’una e mezza: l’indomani mattina giro nel Luxor (le star del Luxor sono i Jabbawockeez, i primi che hanno visto American Best Dance Crew, un programma di gare di hip hop e break dance che da anni seguiamo in Italia) e poi dobbiamo almeno giocare un dollare a testa alle slot, che ormai sono dei computer (non c’e’ piu’ la levetta da tirare). Gabry gioca subito tutto il dollaro, vince 40 centesimi, rigioca tutto e perde tutto. Io faccio un po’ di giocare da 20, 30 centesimi. A volte perdo a volte li rivinco. Insomma, alla fine per ricordo mi faccio stampare il voucher per ritirare 50 centesimi!! Wow, dei veri giocatori incalliti!

Mentre Gabry gioca, io e Alicia siamo a 1 metro da lui, senza sederci, ma arriva il tipo della sicurezza e ci dice che Alicia non puo’ stare li’. Ci allontaniamo, ma Alicia ci resta malissimo e si mette a piangere e continua a dire “Ma cosa facevo di male?” Poverina, lo prende come se l’avessero rimproverata.

Per finire il nostro viaggio a Las Vegas abbiamo ancora una tappa: il banco dei pegni Gold & Silver Pawn: in Italia, su History Channel, guardiamo sempre Affari di famiglia: e’ un programma intelligente, perche’ facendoti vedere la gente che vuole vendere cose strane, ti fanno la storia di quegli oggetti spiegandoti un po’ di cose (a volte vendono monete, altre mappe antiche, lettere di presidenti, vecchie macchine da cucire, armi, giocattoli antichi, ecc, ecc).

Evidentemente non siamo gli unici, perche’ per entrare c’e’ da fare un po’ di coda, ma si smaltisce presto e ci compriamo pure una moneta: costa poco e non ce ne faremo nulla, ma vuoi mettere avere la ricevuta di acquisto? Ora guarderemo il programma con occhi diversi, anche se ovviamente non c’e’ nessuno dei protagonisti (cioe’ il proprietario, con suo padre e suo figlio, oltre a un dipendente).

E con questo e’ davvero tutto: ci attende un lungo viaggio di circa 4 ore verso Los Angeles, con punte minime di 41 gradi farenheit (5 gradi celsius), pioggia e becchiamo anche la nebbia!

Comunque la strada e’ immensa e piena di auto (pero’ non troppo traffico), non come il deserto fatto tra Palm Springs e Las Vegas, dove beccavamo una macchina ogni mezz’ora, e strade a doppio senso con un asfalto terribile e piene di dip! (per chi non lo sapesse, il dip e’ l’opposto di una cunetta: ce ne sono certi che se non li prendi piano ti pianti con il muso della macchina all’ingiu’).

Scusate, l’articolo non e’ certo dei migliori per lo stile. Ma scrivo di corsa, dalla camera di Houston, prima di partire per New Orleans: il tempo e’ poco, perche’ ovviamente lo dedichiamo a vedere i posti o, ahime’, a ore di auto di trasferta. E poi una volta in camera c’e’ da fare con valigie, doccia, cena, ecc.

Pero’ o scrivo male o non scrivo proprio, quindi ho pensato che agli amici facesse piacere comunque leggere qualche notizia non troppo stantia (devo ancora recuperare su Australia e Hawaii).

Con questo vi saluto e vado a chiudere le valigie.

Al prossimo articolo

 

USA – 7 febbraio 2014 – LAX: aeroporto di Los Angeles (American Airlines) bocciato!

Siamo all’aeroporto di Los Angeles: la navetta dell’hotel ci ha portato al terminal.

A parte la gentile signora che ci ha accolto, il resto non e’ stato un granche’: come alle Hawaii abbiamo dovuto fare il check-in al computer, e fin qui niente di male, anzi, a me piacciono le procedure fai da te, tecnologiche. Pero’ quando abbiamo provato a mettere il codice frequent flyer non ce l’ha accettato. Cosi’ abbiamo chiesto al personale che era li’, e si’, ci hanno risposto, ma con uno scazzo… Hanno provato a reinserire il codice loro (come se io non sapessi digitare 7 cifre che vedevano anche loro sul video), e poi mi hanno detto di chiedere al Gate. Quindi vengono stampate le carte d’imbarco e scopriamo che il posto non e’ assegnato! Il che significa che poi al gate, se non sali subito, chissa’ dove ti devi sedere (non e’ un problema, ma noi siamo con Alicia e ovviamente vorremmo rimanere vicini). Quindi ti pesano i bagagli e te li devi portare ancora per un pezzetto al controllo TSA. Finalmente liberi dei bagagli piu’ pesanti, ci dirigiamo subito al gate: si possono portare solo un bagaglio a mano ed un oggetto personale a testa. Per noi non c’e’ problema, perche’ conta anche Alicia e quindi ci stiamo dentro (ci sto dentro, fratello! 🙂 ), ma e’ la prima volta che ci capita. Tra l’altro anche la signora che ci controlla ha un certo scazzo. Quindi controllo solito al metal detector: solita trafila, spogliati quasi (niente scarpe, orologi, cardigan, il pc fuori dalla borsa, mentre i tablet possono rimanere dentro: da notare che dicono ipad per dire tablet). Passato questo ci troviamo al terminal 4: non eccezionale, ma qualche negozio e bar ci sono: solite cose. Pero’ per andare al nostro gate dobbiamo spostarci al terminal 6 e dobbiamo prendere un autobus, che passa in mezzo all’aeroporto, a fianco agli aerei: e’ la prima volta che un aereo mi decolla a 10 metri di distanza! Ecco al terminal 6: un piccolo “capannone” con un solo baretto, 7 o 8 gate, senza wifi (il LAX wifi, unico non protetto, qui arriva con “segnale assente”), e la maggior parte dei “banconi” per appoggiarsi con i pc hanno le prese di corrente rotte. Inoltre a fianco a noi c’e’ un passeggero che sembra Hugo di Lost: speriamo bene!
Ah, nei bagni la carta per asciugarsi le mani e’ finita, e la maggior parte dei distributori automatici e’ Out of order. Ah, Los Angeles, la citta’ degli Angeli!!!
Dimenticavo: e’ il primo volo (il quinto di tutto il viaggio) che e’ in ritardo di un’ora: lo abbiamo saputo appena arrivati in aeroporto. Per fortuna che e’ stata l’unica volta che ce la siamo presa comoda e siamo arrivati con meno di 2 ore di anticipo sull’orario di volo. Ora sono le 13,45: avremmo dovuto essere gia’ imbarcati, invece decolleremo alle 15 (speriamo!!!)

Ovviamente ho scritto la prima parte di questo articolo mentre aspettavo l’aereo, senza poterlo pubblicare. Lo riprendo 2 giorni dopo perche’ non ho piu’ avuto tempo.

Il volo era in ritardo di ulteriori 10 minuti, e al gate il monitor indicava che il prossimo volo era uno per Phoenix alle 16,10 anziche’ il nostro. Infatti tutti chiedevamo. Per mettere un’informazione sbagliata, non metterla proprio!

Al momento dell’imbarco abbiamo dovuto lasciare la valigia a mano prima di salire sull’aereo: abbiamo scoperto dopo che l’hanno imbarcata, ma non con i bagagli imbarcati al check-in, infatti a fine volo abbiamo dovuto aspettare subito fuori dall’aereo per riprenderla e poi andare ancora al baggage claim per gli altri.

L’aereo non era un vero aereo: era un autobus con le ali!! Aveva solo 2 file da 2, per un totale di 68 posti o giu’ di li’. Era un CRJ: credevo che per il decollo ci chiedessero di scendere e spingere! 🙂

Per fortuna erano solo 3 ore, ma Gabry se le e’ fatte tutte vicino a una signora anzianotta (sembrava peruviana o giu’ di li’) che non si capiva che lingua parlasse, che voleva che Gabry telefonasse a sua figlia (lo abbiamo intuito poi all’arrivo) durante il volo!!!! E che ad ogni turbolenza (ce ne sono state un bel po’) si faceva il segno della croce. Per non parlare di altri rumori ed emissioni odorose moleste!

Insomma, direi il peggior volo aereo della nostra vita dal punto di vista della qualita’!

Per fortuna che ormai resta solo piu’ quello per tornare a casa!

Ah, per la seconda volta ci hanno aperto il bagaglio: lo sappiamo perche’ mettono all’interno un biglietto in cui avvisano che e’ stato fatto il controllo TSA. Poiche’ una valigia non aveva i lucchetti TSA, ci hanno rotto il lucchetto e buttato via (non c’e’ piu’, quindi….). Un po’ da’ fastidio sapere che ti aprono la valigia e ti frugano tra la biancheria, anche se per carita’, abbiamo visto che si mettono i guanti, anche se ovviamente credo lo facciano piu’ per se stessi!!

Comunque American Airlines e specialmente American Eagle per ora bocciati di brutto. Hanno solo piu’ una possibilita’ di rifarsi, col volo Miami-Milano. Speriamo sia meglio perche’ li’ sono 10 ore…..

Australia – 16 gennaio 2014 – PortMacquarie – Lemon Tree Passage

Australia – 15 gennaio 2014 – Lismore e Port Macquarie

Australia – 14 gennaio 2014 – Byron Bay sotto il faro

Australia – 13 gennaio 2014 – Byron Bay e Lismore

USA – 1-4 febbraio 2014 – San Diego: i love you

La frase che sto per scrivere non l’ho mai letta o sentita, ma per me e’ vera:
San Diego e’ la citta’ piu’ bella del mondo.

Ho 41 anni e la passione di viaggiare da sempre, per cui ho sempre impiegato le nostre risorse famigliari in viaggi, a scapito di gioielli, borse, tappeti, scarpe e tutte le altre cose che solitamente fanno spendere un sacco di soldi alle donne. Quindi un po’ di citta’ famose le ho viste. Da quelle italiane (Roma, Venezia, Firenze, Milano, Torino, Napoli, Bologna solo per citare e piu’ grandi e famose) a quelle europee (Parigi, Londra, Barcellona, Lisbona, Strasburgo, Ginevra, Amsterdam, Bruxelles, Vienna, Monaco di Baviera) a quelle del Nord America (Los Angeles, San Francisco, Las Vegas, New York, Boston, Whasington, Philadelphia, Toronto, Ottawa, Montreal, Quebec City) e, per la prima volta in questo viaggio, Hong Kong e Sydney.
Eppure nessuna ci ha rubato il cuore come San Diego. E’ la terza volta che torniamo, ed ogni volta temiamo che il ricordo sia piu’ dolce della realta’ e di rimanere delusi. Invece e’ esattamente il contrario: ogni volta ci stupiamo di quanto ci piaccia e di quanto riesca ancora a regalarci. Forse il suo fascino e’ dato dal fatto di essere una citta’ con l’organizzazione e l’ordine americano, ma il sapore e la rilassatezza messicane o comunque latine.

Ma e’ anche che e’ una citta’ grande, ma poco caotica, molto vivibile, e molto varia. Si va dal SeaPort Village, un piccolo villaggio commerciale sulla marina, sotto i grattacieli di Downtown, al quartiere GasLamp, proprio a Downtown; dal promontorio di Point Loma, con l’antico e il nuovo faro sull’Oceano, il monumento a Cabrillo e la base e i cimiteri militari, all’istmo del Coronado, con il suo antico, lussuosissimo e meraviglioso hotel in legno, del 1888, dove hanno soggiornato presidenti e star famose (da Frank Sinatra a Marylin Monroe), e dove di puo’ entrare per girare tra i negozi o prendere qualcosa da bere intorno alla piscina, per poi accedere alla spiaggia sull’Oceano (e magari godersi un fresco tramonto come abbiamo fatto noi stasera); da Old Town, un “parco” storico in stile decisamente messicano, pieno di negozietti di souvenir (il soggetto principale sono i teschi, o meglio il dio de la muerte) e ristoranti messicani, al Balboa Park, un immenso parco che racchiude vari musei (dell’aviazione, dello sport, dell’automobile). Senza poi parlare delle attrazioni piu’ turistiche e pubblicizzate come lo zoo (ammetto non cosi’ bello come quello di Sydney, ma comunque notevole), il SeaWorld, Il Safari Park o Legoland.
Ah, e poi stavo per dimenticare (perche’ questa volta non ci siamo ancora stati, ci vogliamo fare un salto domattina) Mission Bay e la zona de La Jolla, con le sue spiagge e le sue case lussuose (gia’ come se quelle a Point Loma o a Coronado non lo fossero).

Insomma San Diego e’ una citta’ che ha veramente di tutto, ma soprattutto tanto verde, tanta tranquillita’, tanti angoli meravigliosi.

Avremmo trovato anche l’angolo (anzi il triangolo) perfetto in cui vivere: Velvet Park, a Coronado, all’incrocio tra Guadalupe Avenue e Jacinto Avenue.
Ma a San Diego qualunque angolo andrebbe bene.
E’ una citta’ meravigliosa, e sebbene questa sia la terza volta che ci torniamo, non sara’ l’ultima. Ed anzi, la prossima volta ci piacerebbe magari affittarci un appartamento e vivere un po’ di piu’ questa citta’ meravigliosa (sebbene d’inverno non sia caldissima: in questi giorni c’era il sole, ma di giorno non si superavano i 15 gradi e la sera si scende almeno a 10).

Quindi, in conclusione, lo ripeto: per noi San Diego e’ la citta’ piu’ bella del mondo!

USA – 31 gennaio 2014 – In mainland

Atterrati a Los Angeles con circa 30 minuti di anticipo.

Volo bruttino,  senza alcun servizio, giusto un po’ d’acqua, caffè e succhi, il resto a pagamento. Eppure è un volo di 5 ore con American Airlines!

Recuperati i bagagli prendiamo la navetta per l’ Hilton.

Fuori circa 15 gradi, ventosino. L’unica cosa che non rimpiangiamo delle Hawaii è l’hotel.

Fast food ed ora rientriamo in hotel a farci una doccia e fare nanna: letto king size, si dorme in 3. Il king size me lo sono sognato per 3 anni dopo che è nata Alicia, quando non c’era verso di farla dormire se non con noi!

Domani ritiriamo l’auto, quindi salto a Malibu e poi via verso San Diego.

Previsioni, parzialmente nuvoloso, massime 17 minime 9.

USA – 31 gennaio 2014 – Hawaii addio, anzi arrivederci

Oggi sono un po’ triste perchè stiamo per lasciare le Hawaii. Si parla tanto di mal d’Africa, ma secondo me noi siamo stati colpiti dal mal di Hawaii.

E lo dico nonostante quello che ho scritto nel precedente articolo sulla relativa sfortuna sul tempo. O forse per quello nel senso che non sono riuscita a togliermi la voglia. Ma anche ci fosse stato un tempo splendido, come ci si puo’ togliere la voglia in una settimana di vivere in un paradiso? Forse a molti le Hawaii sembreranno troppo commerciali, troppo piene di negozi e facilities, ma io lo ammetto senza vergogna: a me piacciono proprio perchè puoi avere una natura spettacolare, un mare bellissimo, paesaggi mozzafiato, il tutto abbinato a tutte le comodità di spostamento, di negozi, di attrazioni di tutti i tipi.

Molti cercano le cose autentiche, ma cosa significa autentico e cosa non lo è? Tutto ciò che vivi e vedi è autentico. Certo, non vai ad Ohau pensando che gli hawaiiani abitino ancora nelle capanne e cuociano il maialetto sotto terra. Hanno l iphone e magari sono pochi quelli con sangue al 100% hawaiiano. Ma al mattino prima di andare al lavoro vanno a fare surf, e le ragazze comunque ballano la hula e portano i fiori nei capelli. Io sono un’autentica italiana, anche se non vivo nel Sud Italia, non cucino tutto il giorno e non ho 10 figli. Eppure forse gli stranieri quando cercano l’Italia autentica pensano a quello.

Quello che rende autentico un posto sono il suo clima, la sua vegetazione, i suoi paesaggi, la sua storia e la sua cultura.

È normale al giorno d’oggi che dove ci sia la possibilità di sfruttamento economico di qualcosa, venga fatto. Siamo tutti grandi per saperlo. Ma allora? Anche questo è autentico! Lo è in quanto è quello che succede!

Quando sei alle Hawaii ti immergi in un mare autenticamente meraviglioso (certo quando il tempo lo consente!), tra autentiche palme altissime, con lo sfondo di autentiche onde altissime, su cui surfano autentici ragazzi e ragazze che amano il surf. E lo spirito dell’Aloha comunque lo senti. Sarà anche un po’ commercializzato, ma comunque è ovunque intorno a te (meglio della Vodafone!)

va beh, non so perchè mi sono lanciata in questa cosa. Forse perchè mi piange il cuore a partire. E sono certa che tornerò. Questo non è un addio, ma solo un arrivederci. Non so quando potremo farlo, forse di nuovo tra 12 anni, ma torneremo.

Ora sono al gate e ci stanno per imbarcare.

Scriverò ancora delle Hawaii e pubblicherò qualche foto tra un paio di giorni, quando a San Diego spero avremo in hotel un buon wifi! 🙂

Aloha!