Category Archives: Diario Di Viaggio

Si torna a casa – 2 marzo 2014

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Ultimo Starbucks al Dolphin mall a poche miglia dall’aeroporto di Miami.

Alle 17,55 si decolla e si torna a casa.

Giro del mondo finito!

Misto di gioia di tornare a casa e di malinconia per un sogno che si conclude.

Beh, basterà trovarne di altri!

Crociera nei Caraibi con Costa Luminosa – 15-25 febbraio 2014

Cozumel, Roatan, Grand Cayman, Ocho Rios, Grand Turks, Nassau

Una crociera nei Caraibi era proprio quello che ci voleva per concludere (o quasi) il nostro giro del mondo.
Infatti crociera significa totale relax, in quanto non guidi, non ti preoccupi di dove e cosa mangerai, e hai momenti in cui sei obbligato a fermarti, perche’ quando la nave e’ in navigazione non puoi farti prendere dalla smania di fare altre 200 km per vedere cosa c’e’ la’!

Appena saliti a bordo facciamo alcune telefonate e mandiamo messaggi, approfittando che finche’ la nave e’ in porto la sim prende.
Una volta partiti, gli unici contatti con il resto del mondo (o meglio con l’Italia), saranno consentiti dai wifi trovati nelle caffetterie nei porti.
Scusate, ma oltre ad essere liguri, siamo in giro da 2 mesi, il budget vinto ci deve bastare e poi 27 dollari all’ora (+ 3 di inizializzazione) ci sembra davvero una cifra irragionevole da pagare per collegarsi ad internet dalla nave.
Intanto amici e parenti sono avvertiti e per di piu’ possono stare tranquilli per noi: siamo per 10 giorni su una nave da crociera e il comandante non e’ Schettino!
Mandati i saluti, andiamo al buffet che oggi e’ aperto per il pranzo fino alle 17. E’ quasi commovente dopo oltre 40 giorni mangiare un piatto di pasta e di pizza decente.
In realta’ io approfittero’ del resto della crociera per mangiare soprattutto pesce e insalata e dolci, nonche’ uova strapazzate e bacon a colazione.
La giornata passa ad ispezionare la nave e disfare i bagagli, che ormai erano un ammasso informe di roba buttata a casaccio nelle valigie.
Che bello poterle finalmente aprire e mettere tutto in armadi e cassetti. La cabina sembra gia’ abbastanza pulita, ma visto che avevo comprato una scatoletta di salviettine igienizzanti (per ogni evenienza, visto che non sapevamo bene come sarebbero stati i vari motel) e ne ho ancora alcune, una passatina all’interno dei cassetti io nel dubbio la do’. In fin dei conti questa per 10 giorni sara’ come casa nostra.
Questa e’ la nostra seconda crociera. La prima, sempre con Costa, e’ descritta in un articolo che ho pubblicato sul sito di Gabry
https://www.grammudrentu.it/site/2014/02/25/la-nostra-prima-crociera/
Per chi vuole saperne un po’ di piu’ su come funziona una crociera, rimando a quell’articolo. Qui al limite evidenziero’ le piccole differenze.
Ma andiamo con ordine.

Siamo molto felici che il primo vero giorno di crociera, cioe’ domenica 16, sia di completa navigazione. (Ah, tra l’altro e’ il compleanno di Valentino Rossi: auguri Vale, sia per i tuoi 35 anni, sia per il mondiale che fra poco piu’ di un mese andrai ad iniziare: che sia finalmente l’anno buono della ripresa).
Siamo infatti molto stanchi: il periodo da Houston in poi e’ stato forse il meno bello: troppi chilometri in auto, troppo freddo (relativamente alla vacanza, non all’Italia) e in generale troppo sbattimento. Una giornata di sano fancazzismo ci vuole. E’ anche la prima volta che ci allontaniamo, seppure solo per un’ora, da Alicia.
In questa crociera infatti, diversamente dalla precedente, accetta la proposta di andare allo Squok Club, cioe’ una sorta di asilo Costa fatto per bambini con piu’ di 3 anni (se non hanno compiuto 3 anni entro la data di fine della Crociera, rassegnatevi, non ve li prendono: al limite potete andare li’ con loro per usufruire di giochi e pastelli, ma non ce li potete lasciare).
Appena saliti ci hanno dato tutto il programma della settimana, e nei 3 giorni di navigazione lei ha visto alcune attivita’ che le piacciono: fare una stellina di carta, o la collanina giamaicana, il cappello dei pirati, o decorare una torta. Ci fa piacere, non tanto perche’ possiamo ritagliarci 3 o 4 volte un’oretta tutta per noi, ma perche’ per lei e’ un grande passo avanti: un anno e mezzo fa non si sarebbe mai staccata da noi, ed ora invece e’ entusiasta di andare se c’e’ qualcosa che le interessa: al mattino quando si sveglia mi chiede “Oggi c’e’ qualcosa che mi piace allo Squok Club?” E poi penso sia carino giocare con tanti bimbi di altre nazionalita’ e gli animatori (anche loro di varie nazionalita’, ma tutti parlano un po’ di italiano) sono molto gentili e simpatici.
I giorni di totale navigazione in tutta la crociera sono 3: appunto la domenica 16, il mercoledi’ 19 e la domenica 23.
Per noi sono stati ottimi, perche’ appunto eravamo stanchi e ci hanno dato la possibilita’ di dormire un po’ di piu’, leggere, scrivere questi articoli al pc (io) o andare in palestra (Gabry).
Forse se fossimo partiti dall’Italia appositamente per la crociera e poi dovessimo fare rientro appena sbarcati, 3 giorni sarebbero un po’ troppi.
Anche perche’ degli altri 6, solo 3 prevedono lo sbarco tutto il giorno. Gli altri 3 sono solo di mezza giornata (la crociera e’ di 10 notti, ma imbarcandosi il pomeriggio/sera e sbarcando al mattino, sono in pratica 10 notti e 9 giorni).
Ma continuiamo con ordine.
Lunedì 17 (per par condicio compleanno di Marc Marquez, neo campione del mondo della motogp, grande talento e ragazzo a me simpaticissimo, per quello che vedo dalla TV, ovviamente) abbiamo l’intera giornata a Cozumel: dalle 9 alle 19,30 (il programma dice dalle 8 alle 19, ma si intende l’orario di Cozumel, che e’ un’ora indietro rispetto alla nave, che mantiene per tutta la crociera l’ora di Miami, quindi e’ per la nave dalle 9 alle 20, ma occorre risalire a bordo sempre 30 minuti prima dell’orario di partenza).
Per fortuna appena saliti a bordo sabato pomeriggio abbiamo consultato le escursioni. Come ci ricordavamo dalla precedente crociera, sono delle belle mazzate: parliamo ad es. di 87 dollari a testa per gli adulti e 65,25 per i bambini da 4 a 14 anni (quindi per noi sarebbero stati quasi 240 dollari) per un’escursione di 6 ore, trasporto incluso, che ti porta sulla spiaggia di un’isoletta, Isla della Passion. Ok, e’ incluso anche un piccolo buffet, ma 180 euro per 6 ore ci sembrano davvero tanti. Cosi’, ci colleghiamo al sito rentalcars.com (la versione per noleggio auto di booking.com, con cui abbiamo praticamente organizzato tutto) e con 39,76 euro affittiamo un’auto per tutto il giorno a Cozumel.
Cosi’ il lunedi inizia la vera crociera: sbarchiamo a Cozumel, praticamente quasi in centro citta’, dove ci attende un piccolo shopping center che ha anche uno Starbucks.
Noi pero’ crediamo di aver gia’ controllato il tragitto su Google Maps 2 giorni prima e ci dirigiamo ad affittare l’auto: purtroppo sbagliamo un pochino e ci addentriamo un po’ troppo, lungo una strada, che e’ poi quella principale, non proprio bellissima: tanti negozi, ma tanto cemento, lamiere, disordine. Per fortuna decidiamo di chiedere ad una piccola farmacia, dove ne approfittiamo per comprare per 3 dollari americani, il dentrifricio per Alicia. Ci rimandano verso il mare, dove finalmente troviamo l’ufficio Alamo, proprio nella piazzetta principale turistica: lo avevamo mancato per pochi metri facendo una deviazione. Va beh, pazienza, abbiamo perso una mezz’oretta, ma abbiamo avuto a che fare con la gente del posto, che mi ha fatto un’impressione decisamente migliore di quella che mi aveva fatto nel 2006 nella parte continentale dello Yucatan, dove nel giro di 6 giorni avevano provato ad affibbiarci ben 4 fregature!
Ah, pero’ non vi illudete: appena scesi dalla nave ci sara’ uno stuolo di persone che vi offrira’ ripetutamente taxi, navette, escursioni, bere e mangiare, oggettistica, ecc. All’inizio e’ un continuo “No, grazie”, poi dopo un po’ tirate dritto sorridendo, e dopo un po’ ancora tirate dritto e basta! Invece ad es. il signore della Alamo e’ stato il piu’ gentile e professionale di tutti gli affitti fatti in un mese e mezzo: ci ha spiegato tutto quello che firmavamo, ci ha consigliato le spiagge, non ha provato a venderci nessuna assicurazione in piu’, ci ha rassicurato che il seggiolino per bambini non e’ obbligatorio (ce lo siamo dimenticati in nave). Insomma, davvero gentile e professionale.
Finalmente alle 11 eravamo in auto e abbiamo fatto tutto il giro dell’isola: l’isola e’ piccola: un ovale di circa 10 km per 25 (all’incirca, mi sembra di aver sentito che tutto il giro sono 65 km). L’abbiamo subito tagliata a meta’ seguendo la strada principale (quella di cui avevamo fatto un pezzo a piedi, la Carrettera Transversal, un nome tipo Jaurez). Arrivati sul lato dell’isola che da’ verso il mare aperto (e non verso Playa del Carmen, che dista circa 45 minuti di traghetto), si puo’ solo andare a destra. Li si’ susseguono un po’ di spiagge, ognuna in prossimita’ di qualche bar e ristorante. L’acqua era un po’ mossa, la spiaggia abbastanza grande e bianca, ma non pulitissima (cioe’ qualche lattina, qualche pezzo di carta, cose cosi’), come avevo letto su alcuni forum. Poiche’ Alicia ama il mare calmo e il signore della Alamo ci aveva detto che le spiagge piu’ adatte ai bambini sono sul lato “interno” dell’isola, non ci siamo fermati a fare il bagno, ma solo qualche foto. Quindi proseguendo la strada ha ovviamente svoltato seguendo la costa e ci siamo nuovamente ritrovati sul lato interno. Pero’ subito non abbiamo capito, perche’ la strada scorreva alcune centinaia di metri all’interno rispetto alla costa: in poco tempo ci siamo quasi ritrovati dalla nave. Ne abbiamo approfittato per mangiarci un panino al Subway (per sicurezza senza verdure, che anche qui non ci colpisca la maledizione di Montezuma) e connetterci a internet.
In pratica abbiamo capito che gran parte della costa interna non e’ sabbiosa, ma rocciosa. E gli accessi pubblici alle spiagge sono pochi. I piu’ tanti sono parchi (soprattutto sono famosi il Playa Mia e il Chankanaab), che sono un incrocio tra i nostri stabilimenti balneari e i nostri parchi acquatici. In pratica paghi un biglietto per entrare (circa 20-30 dollari a testa) e poi hai tutto: sdraio, ombrelloni, piscina, amache, scivoli, aree gioco, gonfiabili in acqua e cose simili. Noi cercavamo qualcosa di piu’ economico e ci siamo diretti a Paradise Beach che non ha la parte di parco acquatico: qui abbiamo scoperto che in realta’ potevi stare in spiaggia anche se non volevi i loro servizi: poi potevi affittare una draio a 3 dollari, ma dovevi anche spenderne almeno 10 a testa al ristorante, per poter usufuire di bagni, piscina, ecc. Avendo appena mangiato, ci siamo semplicemente messi nella spiaggia a fianco, dove finivano le sdraio, per capirci, e ce ne siamo stati li’. L’acqua e la sabbia erano belle, ma il fondo dell’acqua era rocce e coralli, quindi Alicia non e’ voluta entrare (io stessa avevo un po’ paura di tagliarmi e cercavo di non tenere giu’ i piedi). Abbiamo pero’ fatto un castello di sabbia ed una passeggiata. Dopo forse un paio d’ore abbiamo deciso di finire il giro dell’isola in auto: siamo quindi ripassati di fronte alla nave e abbiamo proseguito fin dove si poteva: infatti se con le spalle al mare “interno” si va a sinistra, a un certo punto la strada non sara’ piu’ asfaltata e con un’auto a noleggio sara’ vietato proseguire, pena l’invalidita’ dell’assicurazione se succedesse qualcosa. E’ la strada che porta a Isla de la Passion, ma tanto non saremmo potuti arrivare sull’isola comunque, ovviamente. A questo punto eravamo piuttosto stanchi e abbiamo riportato l’auto, in modo da aver tempo di tornare con calma alla nave, fermandoci prima allo Starbucks visto al mattino, dove abbiamo potuto caricare la mappa di Roatan. Nel complesso abbiamo avuto la sensazione di aver visto tutta Cozumel (in realta’ ha un paio di punti archeologici da visitare, o fattorie dove fanno la tequila o simili, ed ovviamente le varie escursioni per lo snorkeling). Di certo non si puo’ dire che sia brutta, ma abbiamo nettamente preferito (persone a parte) la costa del Mexico continentale che si trova di fronte all’isola, che abbiamo visitato nel 2006. La’ le spiagge erano grandi, tutte sabbiose e facilmente accessibili. Se dovessi tornare da quelle parti preferirei decisamente tornare sul continente piuttosto che a Cozumel. Eppure Cozumel e’ descritta come favolosa. In effetti non e’ certo brutta, ma tutto e’ relativo.

Il giorno dopo, martedì 18, avevamo il pomeriggio a Roatan, un’isoletta a largo dell’Honduras. Qui abbiamo fatto davvero i pigri e non abbiamo nemmeno speso un dollaro. La nave attracca nella baia di Mohagany: appena scesi attende un piccolo shopping center all’aperto, con negozietti e duty free, molto fiorito e curato. Poi un sentiero lungo un giardino conduce alla spiaggia, che per quanto ci sembri strano e’ riservata ai crocieristi: infatti la sicurezza ci ha chiesto la carta Costa per farci entrare. La spiaggia’ e’ ricca di bar, ristorantini e punti che noleggiano attrezzature varie: le sdraio invece sono a disposizione gratuitamente (noi lo abbiamo scoperto dopo, ma poco male, visto che siamo sempre stati in acqua). Per raggiungere la spiaggia si puo’ anche prendere una specie di seggiovia (anzi, e’ proprio una seggiovia, ma mi condiziona il fatto che loro la chiamano “sedie volanti”): costa 12 dollari il pass per tutto il giorno per gli adulti e 7 per i bambini. Deve essere carino, ma purtroppo Alicia ha paura e non l’ha voluto fare. Io e Gabry avevamo anche pensato di fare uno l’andata e uno il ritorno (e l’altro ovviamente con la bimba) credendo che 12 dollari fosse il biglietto di andata e ritorno (uno avrebbe usato l’andata e uno il ritorno), ma essendo invece un pass personale giornaliero (ti mettono quei braccialetti che se li togli si rompono), non aveva senso spendere comunque 24 dollari per fare ognuno solo 5 minuti scarsi.
Come accennavo siamo particamente stati tutto il tempo in acqua, che non era proprio cristallina perche’ la sabbia (e le tante persone) leggermente la intorpidiva, ma era comunque molto pulita e anche abbastanza calda: a turno io e Gabry abbiamo anche fatto snorkelling. Io pero’ in realta’ ho visto di piu’ passeggiando sul moletto: ho visto, ed anche Alicia, 3 o 4 pesci trombetta ed un pesce tipo Picasso (ma non era proprio quello). Gabry ha visto anche una murena e una pesce palla. Ovviamente io sto parlando di punti molto turistici, senza prendere le escursioni. Sicuramente dove ti portano le escursioni si vedranno molti piu’ pesci. Io pero’ ho sempre il confronto con Sharm El Sheik, novembre 2001, dove eravamo al Ventaclub Faraana ed entrando in acqua dalla spiaggia del villaggio, si vedeva subito di tutto, per non parlare poi di cosa vedevi andando a largo di 15 metri: sembrava di essere dentro il film “Alla ricerca di Nemo”. Non esagero assolutamente se dico che avro’ visto almeno 100 diversi tipi di pesci (ma credo anche di piu’) e numericamente senz’altro migliaia (eri completamente immerso in interi branchi (si dice branchi di pesci? No! Banchi di pesci! Oddio, un vuoto. Si, banchi di pesci). Ne’ alle Hawaii, ne’ in Florida, ne’ in Messico ho ritrovato nulla di simile. Ripeto, probabilmente andando nei posti giusti, con le escursioni, e’ tutta un’altra cosa. Ma io a Sharm avevo fatto 2 escursioni, a Tiran e al Ras Mohamed (un nome cosi’, non ricordo bene) e non avevo trovato tanta differenza con quello che vedevo nella spiaggia del villaggio. Un po’ come diceva Ford (l’ho gia’ citato, vero?) che “E’ vero progresso quando e’ per tutti”, cosi’ penso che l’eccezionalita’ di un posto sia anche data dal fatto che quell’eccezionalita’ sia ovunque nel posto. Pero’ per carita’, mare bellissimo, spiaggia bianca, colori stupendi. E’ un po’ come quando si parla di Miss Italia o Miss Mondo e si dice “Beh, pero’ non e’ che mi faccia proprio impazzire”, cioe’ stiamo sempre parlando di posti meravigliosi. Ah, tra l’altro siamo stati per una volta fortunati col tempo: a Roatan piove una media di 20 giorni al mese: e’ vero che gennaio e febbraio sono i piu’ secchi, am e’ comunque facile beccare pioggia: noi invece abbiamo preso sole tutto il tempo.

Mercoledì 19 navigazione. Solito relax, solite mangiate. La sera che sono salita a bordo mi sono arrischiata a infilarmi un paio di jeans che mi piacciono molto e che negli ultimi tempi chiudevo a fatica. Li ho chiusi benissimo, ed ero felicissima: credo di aver perso un paio di chili in 40 giorni di McDonald! Beh, abbiamo anche cenato spesso con un piatto di pasta, o con un’insalata e mozzarella, e al mattino cereali col latte. E poi si cammina piu’ del solito. Beh, comunque dopo 6 giorni pieni di crociera siamo di nuovo al punto (vita) di prima!

Giovedì 20 una delle tappe che ci e’ piaciuta di piu’: Grand Cayman: siamo scesi a Georgetown e inizialmente mi ha un po’ deluso: me la immaginavo molto piu’ ricca, con tutte le facilities degli USA. Invece neanche uno Starbucks! Lo so, e’ la nostra fissazione, ma che ci posso fare, mi piacciono: io adoro il caffè e i luoghi ordinati, puliti, accoglienti, caldi. Gli Starbucks sono tutti simili, con poltroncine e tavolini dalle tinte calde, tutti gli espositori con torte, dolci, il caffe’ anche in grani o in pacchetti, vari tipi di tazze di ceramica da poter acquistare. Entri, ordini il tuo caffè, che ovviamente puo’ essere di 20 tipi diversi, ti chiedono il nome per chiamarti quando e’ pronto, che di solito e’ dopo 2 minuti, e ti puoi sedere per quanto tempo vuoi, con un libro o un computer o un tablet ed usufruire del loro wifi. Puoi stare in completo relax, nessuno ti chiede nulla o ti mette fretta, e la maggior parte dei clienti sono uomini e donne da soli, tra i 20 e i 40 anni, solitamente studenti o impiegati. Insomma, un ambiente estremamente rassicurante quando ti trovi a migliaia di chilometri da casa, non capisci bene la lingua e non sai bene com’e’ la zona: se c’e’ uno Starbucks puoi stare tranquillo. Snob? Borghese? Se volete credetelo pure: a me piace l’ordine, la pulizia, la tranquillita’. Ho una bambina di 5 anni, ma non amo i luoghi pieni di bimbi che corrono scalzi, si rotolano per terra e ti schizzano di ketchup o gelato. Mangio nei McDonald perche’ sono economici, ma non trovo poi cosi’ strano che non ami dividere il tavolo con un homeless che non si lava da giorni e puzza di alcool. Per carita’, probabilmente e’ una bravissima persona, chissa’ qual e’ la storia che l’ha portato a vivere cosi’, e con molta probabilita’ se dimenticassi il portafoglio sul tavolo mi richiamerebbe per darmelo, pero’ non mi piacciono i cattivi odori e se posso evito le situazioni ad alto rischio di germi. Non per questo credo di essere una persona arida, intollerante o chiusa. Ecco, ho aperto una delle mie solite parentesi-elucubrazioni. La crociera concilia in questo senso!
Torniamo a Grand Cayman e Georgetown. Al posto della Starbucks troviamo la caffetteria Perkup: il caffè mocha non è paragonabile, pero’ ha una buona connessione wifi. Riesco perfino a chiamare i nonni. E cosi’ scopriamo che a Grand Cayman esiste un servizio di autobus pubblici e che il terminal e’ vicino. Cosi’ prendiamo un piccolo autobus (di quelli come le navette dall’aeroporto, 20 posti al massimo, tutti solo seduti) che con 2,50 a testa (ma in tutto con Alicia paghiamo 6 dollari, all’autista, al momento di scendere) ci porta a Seven Miles Beach, la spiaggia molto lunga e bianca di Grand Cayman. Da quanto abbiamo capito gli autobus non hanno un vero e proprio orario (e infatti qui Google Maps mi ha tradito: non mi dava percorsi in autobus, forse perche’ non aveva orari su cui calcolare i tempi), ma partono all’incirca ogni 15 minuti o quando sono pieni. L’autista ci lascia all’ingresso di un parco, un beach park, ma inteso all’anglosassone: uno spiazzo con giochi per bambini, tavolini per pic nic, docce e bagni pubblici. Tutto gratuito. Poi se vuoi affitti sdraio, gommoni, ecc.
La spiaggia e l’acqua sono davvero magnifiche: esattamente l’idea che uno ha dei Caraibi: sabbia bianca, che non resta in sospensione, e acqua azzurra limpida. Anche qui passiamo quasi tutto il tempo in acqua. Poi verso le 3 ci dirigiamo alla “fermata” dell’autobus, o meglio, a dove ci aveva lasciato l’autista, perche’ non esistono vere e proprie fermate. Ma veniamo “intercettati” da un autista privato di autobus che ci dice che ci porta alla nave per la stessa cifra, cioe’ 2,50 dollari a testa (poi di 10 dollari ci dara’ 2 dollari di resto, ma insomma, non sottilizziamo). Aspetta di riempire l’autobus con altri crocieristi e ci lascia proprio al terminal della nave. Noi in realta’ facciamo ancora un salto alla caffetteria per collegarci ancora un po’ ad internet. Due notizie relativamente importanti su Grand Cayman: e’ stata l’unica tappa in cui la nave non e’ approdata in porto, ma rimane alla fonda e quindi ti trasferiscono a terra (ovviamente gratuitamente) con i tender. Purtroppo pero’ si perde un po’ di tempo: occorre comunque prendere un numero in uno dei bar a centro nave e poi aspettare che venga chiamato. Abbiamo dovuto aspettare quasi mezz’ora, quindi tra imbarco sul tender, percorso (10 minuti) e sbarco, ci siamo trovati a terra quasi alle 10,30, invece che alle 9,30 quando saremmo stati pronti. E al ritorno, invece che la solita mezz’ora prima, l’ultimo tender era 45 minuti prima. Per fortuna che la tappa non era di quelle di sole 4 o 5 ore, pero’ comunque ti bruci un’ora abbondante. Sarebbe meglio che almeno 2 giorni prima te lo dicessero e ti dessero gia’ dei biglietti con gli orari, cosi’ almeno non sprechi tempo. Noi non siamo andati a prendere il biglietto con il numero prima di essere completamente pronti, perche’ per quello che ne sapevamo avrebbero potuto chiamarci anche subito. Altra informazione su Grand Cayman: come in tutti i luoghi che abbiamo toccato in questa crociera, praticamente tutti accettano i pagamenti in dollari americani. Anzi espongono gia’ i prezzi in dollari americani. Solitamente la loro unita’ di moneta vale pochi centesimi di dollaro o addirittura meno (sul Today del giorno c’e’ il cambio sia rispetto all’euro sia rispetto al dollaro). Anche il resto lo danno in dollari americani, a parte gli spiccioli. Ad es. abbiamo pagato 7,50 dollari con una banconota da 10 a Cozumel, e ci hanno dato come resto 2 dollari e poi 5 pesos al posto dei 50 centesimi. A Grand Cayman esiste il dollaro di Grand Cayman (CI che banalmente stara’ per Cayman Islands) che “vale numericamente” piu’ del dollaro, cioe’ 1 dollaro americano equivale a 82 centesimi di dollaro delle Cayman.

Venerdì 21 siamo arrivati al mattino presto a Ocho Rios, in Jamaica. Purtroppo abbiamo attraccato in quello che sembrava un terminal rinfuse e abbiamo fatto a piedi circa 5-10 minuti per arrivare a quello che la Costa decanta come centro commerciale, il Taj Mahal (e la Costa ti prenderebbe 23 dollari a testa per portartici, lasciartici 2 ore e riportarti alla nave, mah!). In pratica sono 2 piani di negozietti (in tutto una ventina) disposti intorno ad una piazzetta con al centro una piccola ricostruzione del Taj Mahal! In Jamaica! E’ come se da noi ci fosse un centro commerciale Opera House (per rimanere in tema di questo viaggio) con al centro una piccola riproduzione in carta pesta dell’Opera House di Sydney. Ma che senso ha? Boh, forse l’unica spiegazione e’ il troppo fumo che ci hanno offerto almeno 6 o 7 volte nel tragitto di 10 minuti. Aspetta, diciamo la verita’, prima ci offrivano taxi, collanine, e poi marjuana, hashish, uno addirittura cocaina: almeno pero’ avevano il buon gusto di non offrirlo a me, che camminavo avanti con Alicia per mano, ma a Gabry che era dietro di noi (il marciapiede era stretto).
Comunque arrivati al Taj Mahal abbiamo preso un espresso (rigorosamente zuccherato con zucchero di canna! 😉 ) per 7 dollari (5 + la mancia) e ci siamo collegati a internet. Qui trovare un autobus sembrava decisamente piu’ difficile, e l’isola era decisamente piu’ grande per imbarcarsi su un taxi con una destinazione che avrebbe scelto il tassista. Cosi’ ci siamo diretti alla spiaggia che avevamo visto dalla nave. Era un po’ un parco come quello di Grand Cayman, ma a pagamento. L’ingresso sarebbe stato di 200 dollari giamaicani e il cambio sarebbe 1 dollaro usa = 107 dollari giamaicani, ma l’ingresso in dollari era di 3 dollari a testa, 1 la bimba. Beh, poca roba ovviamente, ma diciamo che ti applicano un po’ di commissioni di cambio!!! Ci hanno pure fatto il timbro sul braccio (che ovviamente dopo 10 minuti di bagno se n’era andato, ma tanto nessuno una volta dentro ti controllava, anche perche’ era tutto cintato e non c’era altro modo di entrare e uscire). La spiaggia non era male: la sabbia rimaneva in sospensione, quindi l’acqua non era cristallina, ma comunque era pulita e della giusta temperatura. Alicia e Gabry sono stati tutto il tempo in acqua, mentre io ho letto un po’ di libro sull’ipad: ho deciso: appena possibile mi compro il Kindle: e’ davvero comodo leggere i libri cosi’. Al momento di rientrare abbiamo rifatto lo stesso tragitto: stavolta non ci offrivano piu’ il taxi, ma direttamente solo la marjuana!!

Sabato 22 possiamo di nuovo dormire un po’ di piu’, perche’ l’arrivo a Grand Turks (una delle isole di Turks e Caicos, arcipelago mai sentito nominare prima di questa crociera, ma probabilmente e’ solo ignoranza mia) e’ alle 13. Ci piacerebbe magari prendere un autobus o un taxi per fare un giro dell’isola, ma ci mettiamo un po’ a reperire le informazioni al solito wifi (questa volta meschinamente “rubato” al piccolo centro che c’e all’arrivo), poi leggiamo un consiglio che dice che si puo’ prendere un taxi per circa 20 dollari verso la citta’ e poi tornare a piedi lungo la spiaggia. Pensiamo di fare il contrario: andare a piedi subito e prendere il taxi per rientrare. Ci incamminiamo lungo la spiaggia (il cui primo pezzo e’ come a Roatan a disposizione dei crocieristi, con anche le sdraio gratuite), ma poi dopo un po’ c’e’ un’area industriale, con una vecchia nave arrugginita e tutte delle reti che impediscono di proseguire. Ormai e’ tardi per tornare indietro, prendere il taxi, ecc. Cioe’ non ne varrebbe piu’ la pena. Cosi’ ci fermiamo alla spiaggia sotto la nave. In effetti l’acqua e’ splendida, talmente trasparente che persino dalle foto aeree di Google Maps si vede il fondo! E poi, a pochi metri da riva, e’ cosi’ profonda da poter fare attraccare la nave. E’ pazzesco. Qui di nuovo il terminal e’ molto curato, con negozietti per i crocieristi. Noi non ci siamo fatti troppo tirare, comunque all’incirca in tutti i porti di questa crociera si possono comprare le stesse cose: oltre ai souvenir classici che si possono immaginare (bandierine, conchiglie, statuette di legno, magliette, ecc) ci sono molti negozi di diamanti, tanzanite, ecc. La Costa ti fornisce un elenco di negozi e anche corsi a bordo per sapere cosa conviene comprare. Senz’altro per chi e’ interessato a queste cose e puo’ permetterselo, risparmiera’ grazie al duty free. Capite che a me cambia poco che un diamante che in Italia pagherei 10mila euro qui lo posso avere per 5mila! 🙂 (Ho sparato delle cifre a caso, tanto per rendere l’idea!).
Senz’altro finora non abbiamo fatto come il nostro solito, di vedere al massimo i posti in cui siamo stati. Solo per Cozumel in quel senso siamo appagati, e un pochino per Grand Cayman. Per il resto avremmo potuto essere in un posto qualsiasi. Ma ce lo eravamo detti: la crociera era per riposarci e fare spiaggia: non potevamo permetterci di spendere troppo ne’ in termini economici ne’ in termini di energie. Senz’altro facendo le escursioni o spendendo ogni volta 60-70 dollari di taxi, avremmo potuto vedere di piu’. Ma avremmo comunque potuto vedere poco a causa del poco tempo di sosta. Inoltre il 70% delle escursioni era snorkeling (che con Alicia per ora non possiamo fare) o esperienze senz’altro bellissime, ma fattibili anche da altre parti, come nuotare coi delfini o con le razze o visitare un acquario o un parco acquatico. E comunque anche di queste Alicia avrebbe avuto paura. Speriamo che le passi, e magari di poterla ripetere quando lei sara’ piu’ grande. Il mio consiglio e’ comunque, se non si vuole spendere piu’ del biglietto della crociera in escursioni, di informarsi prima bene da casa.
Poi molti apprezzano la comodita’ di avere tutto fatto: a me sinceramente da’ un po’ fastidio che gia’ ti pago la crociera, gia’ spesso non mi porti neanche in un punto centrale (nemmeno a pagamento, nella precedente crociera almeno ti davano a 6 euro a testa una navetta per il centro citta’) e ancora mi fai pagare 30 dollari all’ora per portarmi insieme ad altri 50 a vedere una spiaggia o un’attrazione (ovviamente le escursioni che prevedono un biglietto costano ancora di piu). Insomma, secondo me se ne approfittano un po’ ed e’ una cosa che a me da’ sempre fastidio, in ogni ambito. Ma ovviamente questi sono mie riflessioni personali. E nonostante questo penso che nella mia viat faro’ altre crociere, quindi per certi versi sono un’ottima testimonial. Uno che ti dice “Falla, e’ tutto fantastico” e’ banale. Uno che ti dice “Alcune cose non funzionano bene, altre mi fanno arrabbiare, ma ciononostante vale la pena di farla, te lo consiglio” mi sembra ancora piu’ efficace! 🙂

Domenica 23 ultimo giorno di totale navigazione, prima della tappa finale di lunedì 24 a Nassau, capitale dell’isola di New Providence e di tutte le Bahamas. Cominciamo con un giretto del porto e uno Starbucks (ah, che delusione internet a pagamento! Ma 3 dollari per un’ora ne vale la pena e lo compriamo), poi con il museo dei pirati (non all’altezza dei 12 dollari di biglietto per gli adulti e 6 per i bambini, ma Alicia ne è felice, anche se poi all’interno ha anche un po’ paura!), quindi alla fortezza di FinCastle, che vediamo solo dall’esterno, non per non pagare il dollaro di biglietto, ma perchè fa troppo caldo. Fin qui un po’ di delusione: alcuni negozi da ricchi, ma per il resto anche tanta trasandatezza: addirittura mentre andavamo alla fortezza per una via secondaria (seguendo la cartina era piu’ veloce), ad un attraversamento una signora in auto ci ha visto e ci ha sconsigliato di proseguire per quella strada, perche’ non era sicura! 😮
Dopo la fortezza (tra l’altro la torre di 216 gradini, che starebbe stata perfettamente armonizzata con il porto di Porto Vado, tanto per capirci), torniamo al terminal crociere, dove Gabry scopre che c’e’ un wifi gratuito, e da li’ facciamo un giretto allo Straw market, un mercato coperto delle cose di paglia, in attesa del ferry boat per Paradise Island (che e vicinissima al di la’ di una lingua di mare. Dal mercato usciamo subito: bancarelle stipatissime, tutte con la stessa roba (e non tutta originale, anzi), ma soprattutto un continuo richiamarti dei venditori: a me piace guardare tranquilla: se mi stai addosso stai tranquillo che non compro niente e “scappo”.
Sul traghetto un simpatico ragazzo ci indica le ville piu’ famose: dice nomi come Nicolas Cage, Mick Jagger, ci fa vedere dove hanno girato film di James Bond e simili. Pochi minuti e attracchiamo a Paradise Island: passato il molo, si apre uno scenario che e’ un mix tra Las Vegas (per il grande Resort casino Atlantis costato 500 milioni di dollari) e Montecarlo, per gli yacht che si trovano nella Marina. Si puo’ pero’, da alcuni punti, camminando un po’, accedere alla spiaggia, che e’ libera e se vuoi ti affittano ombrelloni e sdraio. L’acqua e’ molto bella, quasi come a Grand Cayman. Dopo un paio d’ore e’ pero’ l’ora di rientrare: c’e’ pieno di taxi sul posto, che ti portano per la stessa cifra del traghetto (4 dollari a testa), ma senza farti il pezzo a piedi fino al molo. Sono taxi collettivi: ti chiamano raggruppandoti fino ad essere 8-10 per riempire il loro piccolo pulmino. Siamo fortunati, perche’ conosciamo una simpaticissima coppia giovane di Washington D.C. che e’ sulla crociera della Disney (Alicia dice che non si fiderebbe di una nave il cui capitano e’ Topolino!). Chiacchieriamo un po’ mentre stavolta per tornare alla nave ovviamente facciamo il ponte. Poco dopo essere entrati nel terminal crociere (dove resteremo un’oretta a cercare di sfruttare il wifi libero, tanto siamo arrivati prima del previsto), si mette a piovere di brutto. C’era gia’ stata qualche goccia sulla spiaggia, ma per fortuna niente di serio, mentre ora viene giu’ proprio da acquazzone tropicale. Beh, visto che l’indomani dovremo sbarcare, almeno lo faremo senza troppi rimpianti!

La mattina dopo, martedi’ 25, sveglia alle 7, perche’ alle 8 bisogna liberare la cabina, anche se poi per sbarcare dovremo attendere fino alle 10,15.

Per concludere questo articolo ecco un breve confronto tra la prima crociera, fatta con la Costa Mediterranea da Savona a Malaga, Casablanca, Cadice, Lisbona, Valencia e Barcellona ad agosto 2012, e questa, fatta con Costa Luminosa.
Le navi sono all’incirca grosse uguali, diciamo tra le piccole-medie della flotta Costa.
Avevamo la stessa identica cabina, nel senso cabina con balcone, ponte 8. Quella della Mediterranea era leggerissimamente piu’ grande, ma praticamente identica.
A me sembra di ricordare che la connessione internet (che gia’ allora mi era sembrata costosa), costasse meno. Forse perche’ Costa usa Tim e la’ eravamo in Europa.
La Mediterranea era piu’ kitch, mentre la Luminoca ha decori ed arredamenti piu’ sobri, che preferisco.
Sulla Mediterranea raramente si poteva fare colazione fino alle 11. Qui tutti i giorni.
Sulla Mediterranea i turni per la cena erano alle 19,30 (o 19) e alle 21,30. Qui sono alle 18,30 e alle 21. Le 18,30 e’ decisamente un po’ presto.
Pero’ il servizio sulla Mediterranea era piu’ veloce: qui da quando ci sediamo a tavola alle 21 a quando cominciamo a mangiare l’antipasto passa sempre almeno mezz’ora: davvero troppo.
Sulla Mediterranea insieme al Today ti davano una piccola mappa (ok, fotocopiata, rudimentale, ma pur sempre mappa) del porto in cui scendevi, con segnata la posizione dove avrebbe attraccato la nave. Qui ci hanno dato solo le mappe dei terminal con i negozi di diamanti, ecc, e solo per i porti che li avevano. Come dicevo non c’e’ mai stata una navetta disponibile, nemmeno a pagamento (ad es. ho letto su un forum che la Carnival per Grand Turks la fornisce).
Sulla Mediterranea gli asciugamani per la piscina erano disponibili in piscina: li prendevi puliti e poi li lasciavi in un cestone. Qui te li danno in cabina, e puoi portarteli dietro, e se vuoi te li cambiano tutti i giorni, ma ne sei responsabile: se a fine crociera non sono in cabina, ti addebitano 20 dollari l’uno. In effetti riduce gli sprechi (nei lavaggi) e visto che te li porti anche giu’ dalla nave, e’ giusto che ne sei responsabile. Pero’ e’ ovvio che l’altro modo fosse piu’ comodo per quando eri in piscina.
La Mediterranea aveva 2 piscine gemelle al centro e 2 piccole, una a poppa e una a prua. La Luminosa ha una piscina al centro e un a prua. Pero’ quella al centro e’ tutta riparata dal vento da vetrate e si puo’ pure chiudere. La Mediterranea ha sopra un toboga, la Luminosa ha un piccolo parco per bimbi, il simulatore della Formula Uno e un minigolf.
Anche qui, come sulla Mediterranea, quando il rientro sulla nave e’ ad un’ora uguale o successiva a quella del primo turno di cena, per la cena rimane aperto il buffet. Solo che sulla Mediterranea succedeva spesso, qui e’ successo solo 2 volte. E a noi questo e’ dispiaciuto, perche’ lo so che sembrera’ assurdo, ma noi mangiamo molto meglio al buffet rispetto al ristorante. E non mi riferisco solo al fatto che vedi le cose e decidi, mentre al ristorante hanno queste descrizioni roboanti, che poi ti lasciano un po’ deluso, ma proprio al fatto che le cose sono piu’ buone (a parte i dolci, che al buffet sono piu’ dozzinali).
Nel complesso io ho preferito, di poco, la Luminosa. Gabry e Alicia invece sono rimasti delusi rispetto alla Mediterranea. Forse perchè loro erano stati entusiasti e la seconda volta si aspettavano di piu’. Io al contrario ero rimasta un po’ delusa, mentre stavolta ero preparata!

Beh, per ora direi di aver detto di tutto e di piu’, ma mi riservo il diritto di integrazione! A voi ovviamente il diritto di non leggere una riga di cio’ che ho scritto! 😉

USA – 14-15 febbraio 2014 – Miami

Orlando dista da Miami circa 300 km, o poco piu’.
Partiamo dal nostro hotel verso le 11. Tra l’altro Gabry scopre che i cartelli “No feed alligator” sul laghetto tra le villette, non e’ uno scherzo come credeva lui! La concierge ci conferma che hanno 2 piccoli alligatori, ma ci rassicura che sono innocui: noi comunque stiamo per partire! Pero’ in effetti poco prima della partenza ho visto 2 scoiattolini che giravano tranquilli, quindi davvero gli alligatori non sono pericolosi!
La giornata e’ molto bella, col sole, quindi ci dirigiamo verso sud, prendendo la Florida Turnpike, che e’ a pagamento (piccoli pezzi a 1 dollaro o a 75 centesimi, poi un pezzo lungo, con i caselli, come la nostra. Paghiamo 12 dollari). Arriviamo sul mare all’altezza di Jupiter.
Finalmente dopo oltre 40 giorni dalla nostra partenza arriviamo sull’Atlantico: e’ strano come questo ci faccia sentire quasi a casa: e’ proprio vero che tutto e’ relativo! Ad es. stiamo per iniziare una crociera di 10 giorni nei Caraibi, a cui seguiranno ancora 6 giorni e 5 notti in Florida: solo questo e’ piu’ di quanto e’ normalmente una nostra vacanza estiva: anche nel periodo d’oro dei viaggi, quello tra il nostro viaggio di nozze del 2000 e la nascita di Alicia, una nostra vacanza era al massimo di 12 o 13 notti, eppure ci sembra che la nostra vacanza volga al termine e gia’ pensiamo come di solito facciamo gli ultimi 2 giorni!
La costa atlantica della Florida e’ come ce la ricordavamo: strada che scorre dritta lungo il mare, spiagge grandi, belle, ma con un mare simile al nostro della Liguria (magari un po’ piu’ pulito!), tanta vegetazione e uno sfilare di case e villette bellissime!
Vorremmo andare un po’ sulla spiaggia, ma Alicia oggi ha un po’ la luna inversa (e di conseguenza la fa girare anche a me!), poi ci fermiamo per mangiare qualcosa e viene tardi. Insomma, alla fine decidiamo di andare al Sawgrass Mill, un grosso centro commerciale meno di un’ora a nord di Miami. Nel 2005 qui avevamo fatto affaroni (in pratica era l’equivalente del nostro outlet di Serravalle), mentre stavolta rimaniamo un po’ delusi. Comunque riusciamo a comprare ad Alicia un paio di sandalini della Clark per 19 dollari (ne aveva propri bisogno: i suoi li ha distrutti sulla spiaggia e non ci possiamo andare in crociera: va bene non andare in giacca e cravatta, ma neanche proprio da homeless) e Gabry finalmente si compra la custodia antiurto per il cellulare (anche se non la potra’ mettere fino a quando non saremo tornati a casa, perche’ bisogna rimettere lo sportellino dietro, sostituito invece dall’attuale custodia).
Verso le 19 ci rimettiamo in viaggio verso Miami, per arrivare alla sistemazione che ci e’ costata di piu’ di tutto il viaggio.
Eh gia’, perche’ anch’io in questo viaggio ho perso colpi di brutto: sapevo dall’inizio che il 14 sera avremmo dormito a Miami (avendo l’imbarco per la crociera l’indomani mattina), ma non mi sono preoccupata di prenotare per tempo: nel 2005 giravamo in auto e sceglievamo l’hotel la sera stessa. Pero’ era agosto, e di solito ce la cavavamo con 50 euro o anche meno in due.
Ora a Miami e’ super altissima stagione, in piu’ in effetti tutto sembra essere aumentato negli ultimi 8 anni. Cosi’ spendiamo quasi 200 euro ( e per fortuna che il cambio ci e’ favorevole!) per dormire in una topaia. Cioe’ proprio topaia non e’, ma e’ una stanzetta in una specie di condominio, arredata coi mobili di seconda scelta dell’Ikea, un solo letto queen size piu’ un divano che si apre a brandina, una cucinetta e un bagno minuscoli. Pero’ non e’ sporco, e’ solo che ad accoglierci c’e’ una signora tutta gobba, con i capelli bianchi raccolti in una crocchia e un occhio semichiuso: ci fa parcheggiare l’auto in strada (e’ una stradina secondaria e non sembra troppo raccomandabile), ci fa vedere la stanza e ci da’ la chiave. L’indomani mattina ci salutera’ senza farci firmare nulla e senza rilasciarci nessuna ricevuta. Tanto abbiamo gia’ pagato con la carta di credito al momento della prenotazione! Insomma, un vero postaccio.
Lo lasciamo presto e andiamo a portare i bagagli al porto e a restituire l’auto all’aeroporto. E’ la quarta macchina che Gabry riconsegna sana e salva.
All’aeroporto ci viene a prendere Marco, un vecchio amico: sembra incredibile, ma e’ di Savona, giocava ad hockey con Gabry, e da sei mesi lavora a Miami. Lo abbiamo contattato via email e whatsapp e ci ha fatto il grande favore di darci uno strappo dall’aeroporto al porto, facendosi accompagnare dal suo simpaticissimo coinquilino colombiano, Daniel. Prima di portarci al porto (scusate il gioco di parole), andiamo pero’ a prenderci un caffe’ in un bar con una vista pazzesca (altrettanto non si puo’ dire del caffe’, ma non ci lamentiamo).
E’ stato davvero bello dopo cosi’ tanti giorni poter parlare con un amico. Raccontargli e farsi raccontare, parlando in italiano e capendosi non solo per la lingua, ma anche perche’ sa chi sei e da dove vieni. E’ inutile: io e Gabry amiamo moltissimo viaggiare, ma solo come turisti: alla fine siamo piuttosto provincialotti e nonostante tutte le meraviglie, aneliamo sempre a tornare a casa. Certo, purtroppo casa vuol dire anche lavoro, ma a meno che non riprovo ad andare a giocare a Chi vuol essere milionario? e riesco a vincere davvero il milione, mi sa che non ci sono altre alternative. Mi accorgo che purtroppo io alla fine mi godo di piu’ il viaggio quando siamo tornati a casa, quando so che tutto e’ andato bene, e ho digerito le piccole cose che sono andate male, e me lo rivivo nei ricordi: nelle foto, nei video, nei racconti ad amici e parenti. Purtroppo sono fatta cosi’, inoltre questo e’ il primo grande viaggio con Alicia, quindi un po’ di tensione in piu’ ci sta. Pero’ si dice che l’esercizio rende perfetti: forse dopo questa esperienza, il prossimo viaggio normale, di soli 10 giorni, mi sembrera’ una banalita’, e come tale molto facile e rilassante!
Scusate, mi rendo conto che scrivo sempre un po’ saltando di palo in frasca, mischiando resoconto di viaggio e riflessioni personali, provando a raccontare un po’ come se fosse in diretta, e un po’ in flashback. Confesso tra l’altro che sto scrivendo dalla crociera, cercando pero’ di recuperare i giorni passati. Non dimenticate pero’ che questo sito ha i 2 scopi principali di servire a noi 3, in futuro, per ricordarci meglio le cose, e ad amici e parenti per avere nostre notizie prima del nostro rientro. Se poi puo’ anche dare qualche utile informazione a qualche turista, mi fa solo che piacere, ma di certo non ha alcuna velleita’ letteraria! 🙂

Per concludere questo articolo, dopo il caffè Marco e Daniel ci accompagnano alla nave, la Costa Luminosa, e qui inizia la nostra crociera nei Caraibi, di cui vi raccontero’ nel prossimo articolo!

USA – 11-14 febbraio 2014 – Orlando

Lasciata New Orleans sotto la pioggia, ci dirigiamo verso la Florida: passiamo Mississipi ed Alabama (ci fermiamo a mangiare ad un McDonald a Daphne, vicino Mobile) ed entriamo in Florida.
Io ho un ricordo meraviglioso di Destin, sulla costa, sul Golfo del Messico, dove siamo passati nell’agosto del 2005 e dove ricordo una spiaggia bianchissima e deserta e un’acqua limpida, ma purtroppo il viaggio che ci attende e’ lungo e passare da Destin comporterebbe quasi 2 ore in piu’ di viaggio. Inoltre piove! Non voglio intaccare il meraviglioso ricordo. Sara’ per un’altra volta. Tanto come per Hawaii e San Diego questo non e’ un addio, ma solo un arrivederci.
Arriviamo in serata al nostro resort ad Orlando, o meglio, leggermente piu’ a sud, a Kissimmee.
Siamo rimasti talmente entusiasti dell’esperienza a Palm Springs, che non ho resistito alla tentazione di prenotare anche qui una villetta.
E’ vero, ci costera’ 153 dollari a notte (tasse comprese), ma ci siamo resi conto di quanto la sistemazione per noi sia importante, specialmente in un viaggio cosi’ lungo. Preferiamo poi mangiare al Mc o da Subway o comprarci un’insalata e una pasta da fare in camera, e sbatterci coi mezzi pubblici (quando ovviamente non abbiamo l’auto in affitto), e magari rinunciare a qualche acquisto (gia’ cosi’ siamo pieni di souvenir e fare i bagagli e’ sempre piu’ un problema), ma e’ inutile, avere un bel posto dove fermarsi a dormire, una camera grande, bella pulita e attrezzata e magari qualche benefit (piscina, lavanderia, palestra, ecc) fa proprio piacere, anche perche’ ormai sono 40 giorni che siamo lontani da casa.
Ci fermiamo quindi per 2 notti al Best Western Premiere Saratoga: abbiamo un appartamentino a 2 piani: a piano terra cucina e sala piu’ un bagno con doccia, al piano superiore 2 camere (una con un letto king size ed una con 2 letti queen size) ed un bagno con vasca.
Insomma decisamente niente male. Inoltre le villette a schiera si sviluppano tutto intorno ad un laghetto, con dei ponticelli di legno e dei piccoli gazebo: insomma, davvero carino. Decidiamo di fare un giretto e veniamo quasi subito sorpresi da un fortissimo acquazzone, che qui da noi sarebbe il classico acquazzone estivo: io e Alicia ci rifugiamo sotto un chiosco delle bibite, dove una piccola ranocchia ci fa compagnia mentre Gabry va a prendere l’auto per venirci a prendere. Poi ci chiudiamo in casa, a farci prima una bella doccia calda e poi un bel piatto di spaghetti al dente. Il riscaldamento e’ acceso e manda aria calda dalle boccole nel pavimento: ad Alicia piace molto e sembra una versione in miniatura di Marilyn Monroe nella famosa scena col vestito bianco! 🙂
Il giorno dopo e’ il momento di Disneyworld! Sebbene il nostro hotel abbia la navetta gratuita, decidiamo di andare in auto: i 15 dollari di parcheggio in questo caso valgono la liberta’ degli orari.
Di Orlando non posso dirvi nulla: non l’abbiamo vista per niente. Abbiamo visto solo la zona dei 4 parchi Disney. Ma sappiamo dai vari depliant e anche dai manifesti in giro, che ce ne sono molti altri.
I 4 parchi Disney sono Magic Kingdom (quello che abbiamo fatto noi e che riguarda soprattutto le favole Disney, cioe’ le varie principesse, Dumbo, ma anche una parte sul Far West, su Tom Sawyer e qualcosa piu’ futuristico), Epcot (spazio e cose simili), Disney Animal (credo i film tipo Bug’s Life e simili) e Disney Universal. Ogni parco costa circa 90-95 dollari (noi abbiamo comprato i biglietti in hotel scoprendo solo sul momento che ti prendono 5 dollari a testa di emissione), ma se si fanno dei biglietti per 2 o 3 giorni si risparmia un pochino.
Noi pero’ non abbiamo il tempo, dobbiamo risparmiare, ma anche volendo ad Alicia interessa solo quello: gli altri hanno attrazioni che e’ piu’ facile che le facciano paura. Oltre ai parchi Disney, ad Orlando ce ne sono molti altri.
Anche questa e’ una meta dove tornare almeno una volta quando Alicia sara’ piu’ grande, e magari fermarsi 2 o 3 giorni.
Ovviamente all’interno del parco tutto e’ abbastanza caro, e sebbene la giornata sia piuttosto ventosa (ma almeno non c’e’ il rischio pioggia) e sia un giorno infrasettimanale di febbraio, il parco e’ piuttosto pieno. Le attrazioni sono circa una ventina, e i tempi di attesa variano dai 5 minuti all’ora. Insieme al biglietto viene dato un foglietto con l’elenco di tutte le attrazioni, e all’interno del parco ci sono alcuni chioschi o comunque location Fast Pass: entrando subito in questi chioschi si parla con il personale e ci si puo’ prenotare per 3 attrazioni: per quelle scelte, all’orario concordato con l’operatore, si potra’ accedere attraverso una corsia preferenziale. Per tutte le altre invece bisognera’ fare la coda standard (chiamata stand by). I tempi di attesa sono riferiti alla coda standard. Quindi ovviamente le attrazioni si possono fare tutte, ma per 3 si puo’ accedere velocemente. Noi purtroppo 2 ce le bruciamo.
Infatti scegliamo come 3 attrazioni di incontrare Cenerentola, Rapunzel e Ariel. Per fortuna per Ariel c’e’ posto troppo tardi e sostituiamo con l’attrazione Under the Sea (sempre argomento La Sirenetta). Poi pero’ ci sembra che la coda per incontrare Rapunzel sia corta, prima del nostro orario fast pass, cosi’ entriamo: in realta’ un po’ di coda e’ all’interno, ma ormai ci siamo. Chissa’ cosa ci aspettavamo: io qualcosa del tipo uno spettacolino, una favola. Invece ti fanno entrare uno per volta (va beh, una famiglia per volta) in una sala, dove c’e’ una ragazza vestita e truccata da Rapunzel, o Biancaneve o quello che e’, che bacia e abbraccia Alicia e puoi fare 2 foto con lei (ovviamente c’e’ anche il fotografo ufficiale, che ti da’ un biglietto con cui potrai poi vedere la tua foto e decidere se comprarla). Avreste dovuto vedere la faccia perplessa di Alicia! E’ inutile, e’ proprio mia figlia: non ha entusiasmo per queste cose: a 5 anni e’ gia’ molto attaccata alla realta’ e disincantata rispetto a queste cose. Guardava la ragazza che interpretava Rapunzel con una faccia che sembrava dire “Ma questa? Ci e’ o ci fa?” A questo punto l’altro incontro prenotato lo abbiamo saltato, e ci e’ invece andata bene che Under the Sea era un viaggetto su delle conchiglie lungo un percorso che riassumeva la storia di La Sirenetta.
Il parco lo abbiamo girato tutto: solo Magic Kingdom e’ secondo me piu’ piccolo di come mi ricordo Eurodisney. Molte cose pero’ le abbiamo saltate, o perche’ c’era troppa coda o perche’ Alicia aveva paura. Abbiamo pero’ fatto il giro di Small World (che non conoscevo: sono pupazzetti vestiti con i vestiti tradizionali di tutto il mondo) e i Pirati dei Caraibi (Alicia ha avuto molta paura e Gabry e’ stato colpito dallo schizzo sollevato da una palla di cannone), inoltre abbiamo fatto il giro del fiume a bordo di quella che sembrava una vera Steam Boat. D’altra parte l’avevamo mancata a New Orleans e l’abbiamo presa qui. Forse non ci crederete, ma a Disney World abbiamo mangiato una delle cose piu’ buone di tutta la vacanza: la pannocchia di mais abbrustolita. Favolosa!
La sera poi abbiamo fatto una coda pazzesca per uno Starbucks, quindi abbiamo assistito alla parata di luci e ai fuochi d’artificio.
Ah, dimenticavo: dal parcheggio, per andare al parco, bisogna arrivare al TTC (Ticket and Trail Center) dove si prende una monorotaia gratuita che ti porta o direttamente a Magic Kingdom, o a Epcot o fa un giro tra i resort. Per arrivare al TTC si puo’ andare a piedi, ma sono disponibili dei trenini, anche questi completamente gratuiti. Il parcheggio e’ enorme, quindi quando si arriva bisogna memorizzarne almeno il personaggio e possibilmente il numero. Noi ad es. eravamo Peter Pan 44. Al ritorno, ripreso il monotrail (10 minuti di coda verso le 20,45) siamo arrivati dove partivano i trenini per il parcheggio: le file di attesa erano divise tra heroes e villains, cioe’ tra buoni e cattivi. Peter Pan e’ un buono, ma di la’ c’erano Ursula, Capitan Uncino e cosi’ via. Di certo l’organizzazione e’ pazzesca.
Ah, quando arrivi dove gia’ devi avere il biglietto (se non lo hai comprato prima lo compri al TTC), passi la tessera davanti a dei lettori e appoggi anche l’indice per l’impronta digitale! Tanto ormai sono schedata ovunque!
Ancora una cosa: noi non lo abbiamo fatto per i soliti 3 motivi: poco tempo, non poter spendere troppo e soprattutto Alicia non ama essere truccata, ecc, ma c’erano un sacco di bambine vestite e truccate da principessa: in pratica vicino al castello di Cenerentola (che e’ proprio al centro del parco, ne e’ il simbolo, e dove circa ogni ora c’e’ uno spettacolo visibile dall’esterno) c’e’ un negozio che vende i vestiti delle principesse: costano circa 70 dollari e credo che se li acquisti, te li facciano indossare e ti facciano anche l’acconciatura classica col “mugnetto” e tutti i brillantini. Pero’ i vestiti sono proprio dozzinali. Comunque noi giravamo col cappottino, quindi…
Eppure c’erano un sacco di persone con maglietta e pantaloncini: gli stessi che alla sera, alla parata, erano tutti avvolti in asciugamani da spiaggia, comprati sul posto, per difendersi dal freddo.
Beh, con questo penso di avervi raccontato quasi tutto.
E domani si parte per Miami dove ci attende la Crociera!

USA – 7-11 febbraio 2014 – Houston e New Orleans

Dopo il volo piuttosto deludente da Los Angeles, Houston ci attende con una serata davvero fredda. Usciamo dall’hotel solo per mangiare qualcosa e ci saranno al massimo pochi gradi.
Per fortuna l’indomani il clima e’ decisamente piu’ mite e saliamo decisamente oltre i 10, forse anche 15.
Houston ci delude un po’. Ammettiamo di essere arrivati a Downtown tardi. Infatti dall’hotel prima torniamo all’aeroporto (che si trova a nord di Houston) ad affittare l’auto, quindi ci dirigiamo al nuovo hotel, che si trova invece ad est di Houston, gia’ sulla strada che dovremo intraprendere l’indomani per arrivare a New Orleans. La stanza non e’ ancora pronta, cosi’ decidiamo di aspettare mangiando qualcosa in un vicino ed enorme centro commerciale. Quindi scarichiamo i bagagli in camera e ci dirigiamo a Downtown. E’ sabato e alle 17 e’ praticamente tutto chiuso. C’e’ il classico centro costituito da vie che si intersecano regolarmente ed alti grattacieli, ma tutto e’ chiuso e gira poca gente, neanche troppo bella.
Insomma, tempo un’ora e risaliamo in auto e ce ne torniamo in hotel. Tra l’altro in hotel avevamo preso i vari depliant turistici e le attrazioni pubblicizzate erano comunque lo zoo, lo space center o un lunapark. Insomma, non ci sembra che Houston offra molto.
La sera pero’ almeno io e Alicia possiamo farci un bagno nella piscina riscaldata e al chiuso dell’hotel!
L’indomani mattina partiamo verso New Orleans, dove arriviamo comunque che e’ ormai buio, in quanto ci sono 5 ore di viaggio piu’ le soste.
Anche qui ci facciamo prendere dalla nostalgia e dal voler ripercorrere con Alicia le tappe dei nostri viaggi precedenti: conoscendo i suoi gusti siamo sicuri che le piacera’ visitare una piantagione: l’idea iniziale e’ di sceglierne una diversa da quella da noi visitata nel 2005, ma come allora alla fine la Oak Alley Plantation ci sembra la migliore ci rechiamo la’.
Pioviggina un pochino, ma per fortuna durante la visita del bel parco di querce secolari esce un po’ di sole.
E’ sempre sconvolgente e un po’ straziante trovarsi di fronte alla testimonianza tangibile di qualcosa di cosi’ terribile come la schiavitu’: leggere il prezziario degli schiavi e pensare che non risale a migliaia di anni fa ma solo a 150 fa venire i brividi. Come potevano persone giudicate normali e rispettabili pensare che fosse legittimo trattare un altro essere umano come una proprieta’, comprandolo e vendendolo e disponendo di lui come un oggetto? Per non parlare delle torture in caso di ribellione o tentativo di fuga. Cosa puo’ in generale portare un essere umano a ritenersi superiore ad un altro solo sulla base della razza? Beh, che stupida, ho detto 150 anni fa? Purtroppo non ne sono passati nemmeno 70 se invece che ai campi di cotone e canna da zucchero pensiamo ai campi di concentramento.
Il pregiudizio e’ una cosa: seppur sbagliato ha una sua spiegazione logica: se alcune persone con una certa caratteristica comune, di razza, religione, etnia o quant’altro, adottano un certo comportamento negativo, e’ in parte comprensibile provare poi paura nei confronti di altre persone con la stessa caratteristica. Non sto dicendo giusto o accettabile, ma solo almeno con una spiegazione logica. Fa parte del nostro spirito di sopravvivenza. E’ lo stesso motivo per cui la maggior parte di noi ha paura dei serpenti e dei ragni, anche quelli non velenosi ed assolutamente innocui, mentre non ha paura dei piccoli mammiferi, simpatici e pelosi. Il gatto che si e’ bruciato con l’acqua calda ha paura anche dell’acqua fredda.
Se da domani in TV o sui giornali venissimo a sapere prima di un assassino alto, biondo e con gli occhi azzurri, poi di un altro, diverso, ma sempre alto, biondo e con gli occhi azzurri, e poi ancora e ancora, beh, non mi stupirebbe che si creasse un pregiudizio nei confronti degli uomini alti, biondi e con gli occhi azzurri. Ovviamente sarebbe comunque ingiusto, perche’ ci sarebbero un sacco di uomini alti, biondi e con gli occhi azzurri e assolutamente onesti e non pericolosi, pero’ almeno a livello razionale ci sarebbe un motivo, una spiegazione.
Ma il razzismo, cioe’ il pensiero che una persona sia inferiore, abbia meno diritti e possa essere trattata diversamente solo perche’ appartiene ad una razza piuttosto che ad un’altra, questo proprio non ha senso, non riesco a trovargli alcuna spiegazione, e’ solo assurdo e basta. Eppure un’intera societa’ ci si e’ basata sopra per decine, centinaia di anni. Se non fa venire i brividi questo…..

A proposito di brividi, verso l’una si mette a piovere intensamente e ci dirigiamo verso New Orleans: parcheggiamo in un grande centro commerciale in fondo a Canl Street e dopo aver avvolto Alicia in una mantellina antipioggia (comprata ancora in lire circa 15 anni fa e mai usata!), ci dirigiamo al quartiere francese. Purtroppo la pioggia non aiuta: facciamo vedere ad Alicia alcune vie, teatro de La principessa e il ranocchio ed ancor piu’ dei giochi che ne sono derivati, arriviamo nella piazza della Cattedrale, dopodiche’ stanchi e infreddoliti ci rifugiamo in uno Starbucks, dove raccogliamo le forze per tornare in hotel.
New Orleans e’ una citta’ estremamente affascinante, ma la prima volta Bourbon Street ci ha accolto di sera con i suoi ubriachi e i conseguenti poco piacevoli effluvi, e stavolta con la pioggia e un po’ di fresco. E comunque siamo in pieno giorno, di lunedi, e ci sono i locali che ti chiamano dentro per provare una delle loro ragazze! E tutti girano con alcolici in mano, alle 4 del pomeriggio. Certo, i negozi che vendono souvenir con soggetti teschi, scheletri e vudu, oppure le piccole fabbriche di dolci, sono molto suggestive ed allettanti. E anche le architetture sono molto caratteristiche, colorate e piacevoli (tra l’altro mancano meno di 3 settimane al famoso Mardi Gras). Ma la cura e la pulizia non sono certo quelle della California.
Comunque, anche se lasciamo New Orleans senza troppi rimpianti, capiamo che per alcuni New Orleans possa esercitare un fascino unico, anche grazie alla sua musica e alle sue superstizioni e al suo culto dei morti (qui sono famosi i tour dei cimiteri, cosa che ovviamente noi evitiamo, visto che Alicia non e’ esattamente un cuor di leone!)

Purtroppo ci attendono 2 giorni di viaggio per raggiungere Orlando e Disneyworld!

Australia – 8-24 gennaio 2014 – Tin Can Bay – Cronulla

In questo articolo dettagliero’ un po’ meglio i 16 giorni di vacanza che abbiamo fatto in Australia.
Premetto che sto scrivendo dalla crociera, un mese dopo.
Arrivati a Brisbane, nel Queensland, abbiamo subito affittato l’auto, una tamarrissima Ford XR6 blu elettrico e ci siamo diretti a Tin Can Bay, dove avevamo prenotato le prime 3 notti.
La scelta e’ stata dovuta soprattutto a questioni di costi, visto che questa e’ altissima stagione in Australia e si fa fatica a trovare posto.
Da Tin Can Bay nei 2 giorni successivi siamo andati alle belle spiagge di Noosaville e Rainbow Beach (purtroppo piuttosto ventosa), per poi spostarci circa 3 ore di auto piu’ a sud.
Avremmo dovuto subito dormire a Murwillumbah, un pochino nell’interno, ma purtroppo al nostro arrivo abbiamo trovato la reception chiusa, e nonostante campanello e telefonate nessuno ci ha aperto.
Non trovando nessun’altra sistemazione sul posto (perche’ diciamolo, il posto e’ un po’ dimenticato da Dio), dobbiamo andare verso la costa. Qui ovviamente tutto e’ No vacancy. Troviamo solo un posto a 350 dollari, che sono davvero un po’ troppi. Per fortuna dopo poco riusciamo a trovare un motel a Palm Beach: davvero triste e all’apparenza non troppo raccomandabile, ma almeno costa “solo” 120 dollari! Il posto e’ davvero kitch, il tipo quasi non ci chiede i documenti e ci fa pagare subito in contanti, pero’ sono ormai le dieci e mezza di sera, cominciavamo seriamente a disperare, quindi l’importante e’ avere una stanza in cui passare la notte. Che poi alla fine a ripensarci bene non era poi questa mostruosita’: sembrava abbastanza pulito e il tipo mi ha pure regalato una tavoletta di cioccolato quando ha saputo che era il mio compleanno! Pero’ l’arredamento era inguardabile. La stanza pero’ era piuttosto grande, con 2 letti matrimoniali. Peccato appunto che fosse il mio compleanno e che quella sera volessimo fare le cose con calma e cenare fuori. Va beh, e’ un compleanno che mi ricordero’! Parte della colpa e’ anche stata dovuta al fatto che noi pensavamo di arrivare al motel di Murwillumbah alle 20, invece quando siamo arrivati erano le 21, in quanto Murwillumbah si trova gia’ nel New South Wales, e li’ hanno un fuso orario diverso! Ok, sono 2 diversi stati, ma il passaggio non avviene spostandosi da ovest ad est, ma da nord a sud!!!! Sono dei pazzi! E poi la costa e’ densamente popolata: e’ tutto un susseguirsi di paesi, senza interruzioni. E’ un po’ come se da noi a Savona ci fosse un’ora e ad Albisola un’altra. Anzi, nemmeno perche’ almeno tra Savona e Albisola cambiamo longitudine. E’ come se sulla costa della Toscana o delle Marche spostandosi un po’ piu’ a sud fossero un’ora avanti. Sai che casino con gli appuntamenti?
Infatti dove poi abbiamo dormito alla fine, a Palm Beach, eravamo ancora nel Queensland, cosi’ come a Surfers Paradise e Coolangatta che abbiamo visitato il giorno dopo, mentre poco piu’ giu’ si entrava nel NSW e quindi eravamo un’ora avanti.
Va beh, ovviamente poteva succedere di peggio. L’indomani siamo subito andati a Murwillumbah, per scaricare i bagagli (ripeto, non era facile trovare posto e non volevamo certo rimanere un’altra notte in quel motel). Si sono scusati moltissimo, dicendo che non capivano come mai non avessero sentito ne’ campanello ne’ telefono, ed ovviamente non ci hanno addebitato la notte non goduta. Il motel era decisamente molto meglio di quello in cui eravamo appena stati (e per soli 5 dollari in piu’). Purtroppo pero’ abbiamo perso fra tutto un altro paio d’ore, perche’ invece di svegliarci riposati a Murwillumbah e andare subito sulla costa, ci siamo alzati alquanto sconvolti, siamo andati a Murwillumbah a posare le valigie e poi siamo ritornati sulla costa. D’altra parte pero’ non ce la sentivamo di girare tutto il giorno con i bagagli dietro, ed inoltre volevamo essere sicuri di avere la camera per la sera.
Come accennavo prima siamo quindi andati a Surfer’s Paradise: una spiaggia immensa dove Gabry ha fatto surf.
Dietro la spiaggia ci sono altissimi grattacieli, al punto che uno fungeva da mega ombrellone per un tratto di circa 30 metri della spiaggia: Alicia lo ha apprezzato moltissimo (in effetti era comodo), ma il contesto non era certo quello di Noosaville. Poi siamo passati a Coolangatta, altro posto famoso per il surf, ma era ormai buio abbiamo solo potuto notare che, come ovunque in Australia, subito ditero la spiaggia ci sono i giochi per i bambini.
L’indomani, lasciata Murwillumbah, ci siamo diretti a Byron Bay, spiaggia grande e molto bella, ma anche molto molto assolata, dove Gabry ha fatto surf.
La sera avevamo un B&B a Lismore, sempre un po’ nell’interno. Un po’ caruccio, ma ottima scelta: casa bellissima e pulitissima, con un enorme bagno che aveva sia doccia sia vasca.
Al mattino abbiamo fatto colazione (un po’ prestino devo dire, ma le 8,30 erano l’ora massima) al tavolo della sala, con le signore che cucinavano le cose sul momento e siamo tornati a Byron Bay, ma in un altro punto che avevamo visto la sera prima, sotto il faro. E’ stata una scelta azzeccatissima: sulla spiaggia con la marea si era formata una piscina naturale, ed Alicia ha passato tutto il tempo li’, mentre Gabry faceva surf. Un posto davvero mozzafiato. L’unico difetto delle spiagge australiane, e’ che se vuoi parcheggiare proprio li’ il parcheggio e’ piuttosto caruccio, dell’ordine di 4-5 dollari l’ora. In realta’ abbiamo poi scoperto alle Hawaii, parlando con un ragazzo italiano che lavora come enologo sia in California sia in Australia, che gli stipendi sono molto alti. Lui ci ha parlato di 6500 dollari per un lavoro pagato in Italia 3000 euro.
Il giorno dopo a colazione, le signore del B&B ci hanno consigliato di visitare il santuario dei koala (friendsofkoala.org). E’ un’associazione senza fini di lucro che si occupa di curare i koala investiti o affetti da malattie. La signora che ci accoglie e’ molto gentile, ce ne fa vedere alcuni in cura e ci spiega molto. E’ sorpresa e contenta quando le acquistiamo un libro sui koala, ma ad Alicia colpisce molto e sebbene in inglese se l’e’ fatto leggere e tradurre tutto da suo padre nel mese successivo. Ora sa piu’ sui koala che su cani e gatti! Riusciamo anche a vedere l’unico koala in completa liberta’ di tutto il viaggio. Infatti sebbene ovunque ci siano cartelli che indicano zone abitate da koala (e invitano a fare attenzione a non investirli), non e’ molto facili vederli. Li avremo poi rivisti allo zoo di Sydney, ma non e’ la stessa cosa che vederne uno libero.
Lasciata Lismore ci dirigiamo a Port Macquarie, dove abbiamo prenotato un Best Western. L’indomani giriamo un po’ nei dintorni, quindi ci dirigiamo a Lemon Tree.
Devo dire che questa scelta si e’ rivelata una piacevole sorpresa. E’ un paesino piccolo, probabilmente un po’ snobbato. Non ha una spiaggia, ma un porticciolo, e solo 2 locali di poche pretese dove mangiare la pizza. Sembra di essere in uno di quei paesini con pochi abitanti nell’interno dell’Italia, dove i vecchietti alla sera si riuniscono nell’unico bar del paese a giocare a carte. Eppure le due sere che passeggiamo li’ c’e’ un’atmosfera favolosa, con la luna che illumina il mare, e nonostante l’aria fresca passeggiamo tra le mangrovie sperando di vedere un altro koala dormire tra le fronde degli eucalipti. Lemon Tree e’ stata scelta perche’ vicina ad Anna Bay, dove andiamo ma senza riuscire a stare molto in spiaggia, perche’ soffia un vento davvero teso, fresco e fastidioso. Anna Bay presenta pero’ delle spettacolari dune di sabbia, tali per cui ci si stupisce di essere in Australia. Ed infatti ci sono molte escursioni che fanno fare il giro sui cammelli, come le fotografie possono testimoniare. Lasciata Lemon Tree ci avviciniamo a Sydney, passando da Terrigal (dove Gabry fa surf in mezzo ai bagnanti, stupendosi che non si spostino, per accorgersi solo dopo che e’ lui ad essere dove non dovrebbe). Ci fermeremo a dormire 3 notti ad Oxford Falls, una trentina di km a nord di Sydney, mentre le ultime 3 notti le faremo a sud di Sydney (circa 15-20 km), a Miranda, vicino a Cronulla. Al solito le scelte sono dettate da motivi economici, ma non si rivelano sbagliate. La domenica lasciamo l’auto al parcheggio di un centro commerciale di North Sydney e da li’ prendiamo la metro verso Sydney. Siamo stati molto fortunati di capitare di domenica. Infatti paghiamo la flat rate del parcheggio per tutto il giorno 10 dollari anziche’ 52 (si, l’ho detto sui parcheggi sono dei pazzi), ma ancora piu’ paghiamo il biglietto giornaliero per tutti i mezzi solo 2,50 dollari a testa, anziche quasi 30 per gli adulti e quasi 20 per Alicia, (risparmiando quindi circa 70 dollari), perche’ c’e’ la promozione domeniche d’estate per le famiglie. Decisamente gli australiani incentivano il passare il weekend tutti insieme, ai parchi e all’aria aperta in genere. Ed in effetti in metro c’e’ pieno di bambini coi loro genitori o i loro nonni (talmente giovani che a volte e’ difficile capire la differenza). Facciamo il giro abbastanza canonico di Sydney: prima un po’ di centro, Opera House, poi dietro consiglio di una ragazza italiana conosciuta a Rainbow Beach e che vive con la famiglia da 6 mesi a Sydney, prendiamo il traghetto (sempre compreso nel biglietto di 2,50 dollari) e andiamo a Watson Bay, da dove possiamo godere una vista bellissima sulla citta’. E dove c’e’ un parco bellissimo, ovviamente coi giochi per i bambini. Da li’ autobus di nuovo verso il centro e la Sydney Tower Eye (di cui mentre sono in autobus compro il biglietto via internet spendendo per tutti e 3 circa 45 dollari e risparmiandone quasi 20 rispetto a comprarlo sul posto: meraviglie dell’ipad e di internet: solo con questo mi sono ripagata i 29 dollari della sim vodafone con 3 giga di traffico per 30 giorni comprata in aeroporto a Brisbane e che ci ha fatto da ottimo navigatore, usando Google Maps, per 16 giorni, dicendoci anche percorsi ed orari di tutti i mezzi pubblici). Ma torniamo un attimo all’Opera House: per certi versi e’ stata una piccola delusione: io me la immaginavo immersa in mezzo al verde (certo, l’acqua da una parte, ma l’accesso attraverso un parco). In realta’ ci si accede attraverso l’asfalto, dove oltretutto c’era una specie di esposizione di gonfiabili colorati, che facevano molto poco fine. Poi purtroppo una parte della pavimentazione era in rifacimento, con ovviamente reti di protezione e attrezzi da lavoro. Insomma, non era al massimo.
Pero’ prima di salinare la scalinata, vista da circa 100 metri, devo dire di aver provato una fortissima emozione. Non tanto per l’Opera House in se’ (esistono monumenti od edifici anche piu’ entusiasmanti e carichi di significato al mondo), ma per il fatto di rendersi conto di essere davvero dall’altra parte del mondo. Per noi italiani l’altra parte del mondo sono Australia e Nuova Zelanda, proprio geograficamente parlando intendo. E l’Australia a me fa pensare a Sydney e Sydney all’Opera House. E vedermela li’ davanti….. E’ stata davvero una grande emozione.
Ho pensato a questo viaggio per anni. Il primo germe e’ stato nell’ottobre del 2006, mentre ero in ospedale per un’operazione banale e ho sentito per telefono un mio collega che lasciava il lavoro per fare un giro del mondo di un anno. Quanto l’ho invidiato e ammirato! Sapevo che non avrei mai potuto fare una cosa cosi’ grande, ma la vincita al Milionario e la nascita di Alicia (per il congedo parentale) mi hanno dato l’opportunita’ di avere almeno un assaggio di quel sogno. Erano quattro anni che ci speravo, sempre con i dubbi e la paura, soprattutto per il lavoro, e trovarmi li, davanti all’Opera House, nell’altro emisfero, dove non ero mai stata e dove e’ estate mentre da noi e inverno, dove e’ giorno quando in Italia e’ notte, mi ha fatto davvero capire che lo avevo fatto. Che stavo davvero realizzando il mio sogno. Non e’ solo il fatto di vivere questa esperienza bellissima, di stare 2 mesi in giro per il mondo. E’ ancora di piu’ aver avuto il coraggio e la tenacia per farlo. E’ averlo desiderato e avere creato le condizioni e colto le opportunita’ che l’hanno reso possibile. Una recente pubblicita’ della Fastweb dice “Immagina, puoi”. Se puoi immaginarlo puoi farlo. Io l’ho immagino, l’ho sognato e l’ho realizzato. E questo mi rende orgogliosa di me stessa. E’ un successo, indipendentemente dai luoghi visti, dall’aver per una volta quasi saltato l’inverno, al di la’ dell’aver passato (ormai comincio a parlare al passato, visto che mancano 10 giorni al termine di questa avventura) 2 mesi sempre con mio marito e mia figlia, come non era mai successo e come purtroppo probabilmente non succedera’ mai piu’. E’ un po’ come dire che l’importante non e’ vincere, ma partecipare. E’ vero, la vittoria e’ esserci, piu’ ancora di come poi vanno le cose. In questi giorni ci sono le Olimpiadi invernali di Sochi. Ecco, io mi sento un po’ cosi’, come credo si senta un’atleta che partecipa alle Olimpiadi: si e’ preparato per 4 anni per esserci. Credo che molti di loro non si illudano di vincere una medaglia: la vera vittoria e’ esserci, e’ rappresentare il proprio paese alle Olimpiadi, davanti al mondo. Ecco, la mia vittoria e’ esserci, e’ averlo fatto, e averlo condiviso con la mia famiglia.
A molti sembrera’ banale: c’e’ chi molla tutto e cambia vita e lavoro con gran facilita’, dall’Italia, all’America, all’Australia o chissa’ dove. Sono tanti, ed io so di essere una provincialotta rispetto a loro, ma c’e’ una frase che trovo molto bella e che credo di aver in parte realizzato “Non cercare di essere migliore degli altri, cerca di essere migliore di te stesso”. Quando parlo di vittoria, di successo, non sono certo assoluti. Per altri questa esperienza e’ magari una bazzecola. Il successo di cui parlo e’ su me stessa, sulle mie paure, e perche’ no, sulla mia prudenza e il buon senso, che di questi tempi magari mi avrebbe suggerito di fare la formichina e starmene a casa e tenere da parte i soldi per imprevisti e tempi bui (visto che al peggio non c’e mai fine! E penso che davvero l’Italia adesso per certi aspetti sia al peggio, ma questo e’ un altro discorso, che non sono in grado di affrontare).
Lo so divago, ma d’altra parte questo sito e questi pensieri sono per amici e parenti, che ormai mi conoscono. Gli altri che potrebbero capitare qui per caso avranno gia’ da un pezzo abbandonato la lettura. Quindi sono tra amici, e non vi stupirete certo delle parentesi che apro (ma mi vanto di chiuderle tutte prima o poi!).
Siamo partiti dall’emozione davanti all’Opera House e li’ torniamo. Sydney e’ una bella citta’ per quello che ho visto.
Doveva essere un giro del mondo, tempo e soldi non erano poi molti, quindi abbiamo fatto delle scelte. Spero che la mia vita sia ancora lunga (secondo la media ho circa 40 anni di buono), quindi a Sydney potro’ tornarci un giorno. Senz’altro posso garantirvi che ha uno zoo bellissimo, il Taronga Zoo. Organizzato molto bene e con una vista fantastica sulla citta’. Vi abbiamo speso senza rimpianti una giornata. Ma non prima di averne dedicata una alle spiagge a nord di Sydney: Narrabeen, Dee Whay (altro ottimo consiglio di Luisa) e Manly.
Una volta trasferitici nel motel a Miranda ci siamo dedicati alle spiagge a sud di Sydney, ovvero Bondi e poi Cronulla, dove Gabry ha fatto surf con un amico australiano conosciuto a Savona (suo padre e’ originario di li’) e poi rimasto in contatto tramite facebook. E qui potrei aprire un’altra digressione sulla meraviglia e la potenza di internet e della tecnologia, e di quanto io ne sia entusiasta e sia orgogliosa di lavorare in questo settore. Ma e’ quasi ora di cena, e non ho tutto questo tempo! 🙂
Cronulla e’ molto bella: come Dee Why sulla spiaggia ci sono delle piscine seminaturali: in pratica hanno dovuto solo aggiungere un muretto e una paio di corrimano alle formazioni di rocce, e si sono formate sulla spiaggia stessa delle piscine di acqua di mare, che penso si ripuliscano da sole semplicemente grazie alle maree. Che posto meraviglioso! E nell’immancabile parco giochi ho pure conosciuto una donna giapponese, sposata con un italiano, che mi ha raccontato che si erano trasferiti li’ da Mestre 3 anni prima! Non sono solo i luoghi a fare i viaggi, ma anche, e soprattutto, le storie. E con questo vi saluto e saluto l’Australia.
Ci “rileggeremo” negli Stati Uniti!

USA, bilancio

Come fatto per l’Australia, posso ormai fare un bilancio per gli USA. Sebbene ci fossi già stata, alcune cose non le ricordavo. In ogni caso all’epoca non avevo un sito web su cui scriverle, quindi…

Dal punto di vista delle abitudini c’è molta similitudine con l’Australia, almeno dal nostro punto di vista. Ad es. anche qui nei supermercati vendono i tetrapack di albume o di tuorlo. A me fa un pò senso, anche se poi a pensarci bene può anche essere pratico ed alla fine non è una cosa così schifosa: rompono le uova, separano il bianco dal rosso e li confezionano in tetrapack! Serve per cucinare, ma serve anche per chi fa molta palestra e deve mangiare molti albumi, per non doversi comprare dozzine di uova e poi non sapere che farsene dei tuorli. Anche perchè con quello che costano le uova qui! Il minimo sono confezioni da 6, ma sono più diffuse quelle da 12 e 24, e se fai i conti un singolo uovo costa circa mezzo euro, mentre in Italia io lo pago anche meno di 20 centesimi. Sarà perchè qui hanno il guscio bianco? Scherzi a parte, si fa fatica a distinguere un uovo sodo sbucciato da uno ancora da sbucciare. A questo proposito, nel Seven Eleven sotto il Best Western vicino all’aeroporto di Los Angeles, ho trovato una confezione con 2 uova già sode e la bustina di sale e pepe. Dico a proposito perchè ci ho messo un po’ a capire se erano già sbucciate (nel qual caso non le avrei comprate), ma poi ho capito che il guscio lo avevano ancora.

Anche qui come in Australia, tutto è o bollente o ghiacciato. Ogni volta dobbiamo dire “No ice” altrimenti è tutto ghiaccio. Non ne facciamo una questione di poca resa, è proprio che le bibite escono già freddissime dal distributore, eppure tutti mettono quintali di ghiaccio. In ogni hotel c’è sempre il distributore del ghiaccio, ben evidenziato e segnato sulle mappe che ti danno all’arrivo. E nei vari market, specie quelli dai distributori di benzina, vendono pacchi di ghiaccio da 5 a 20 chili! Poi però prendi un caffè e devi aspettare almeno un quarto d’ora per berlo, perchè altrimenti ti ustioni. Io tutte le volte provo ad assaggiarlo e mi faccio la bollicina sul palato, come quando addenti la pizza col il formaggio fuso sopra.

Anche qui spesso c’e’ l’aria condizionata a palla, ma in Florida per assurdo meno che in altri posti (dico per assurdo perche’ qui fa sempre caldo!). Abbiamo scoperto che purtroppo la Florida a febbraio e’ parecchio cara: molti vengono a svernare qui, quindi e’ difficile trovare posto negli hotel. Ad es. sulla crociera abbiamo conosciuto dei signori, di una certa eta’, di Trieste, che pero’ vivono da molti anni a New York e che adesso erano a svernare, fino ad aprile, a Fort Lauderdale (1 oretta a nord di Miami). Nel frattempo non si sono fatti mancare una crociera nei Caraibi. Insomma, una vitaccia!

Anche qui non usano molto le doccette: cioe’ non hanno il tubo flessibile, ma solo la pignatta in alto. Tra l’altro hanno dei modi assurdi di aprire l’acqua e di far passare l’acqua dal rubinetto alla pignatta: addirittura in un hotel all’arrivo il concierge ci ha fatto vedere, su un rubinetto che aveva li’, nella lobby, staccato, come si faceva appunto per far cambiare il punto di uscita dell’acqua: questo dovrebbe spiegare molto! (Peccato che la sera prima, in un altro hotel, avevamo avuto lo stesso rubinetto, nessuno ci avesse detto nulla, e ci avessimo messo un’ora per capire!)
Ovviamente io parlo di alberghi: non ho idea di come siano le cose nelle case, ma di solito le abitudini sono simili.

Altra caratteristica e’ che nei bagni non manca solo il bidet, ma anche lo scopino per il water. Devo dire pero’ che in effetti non sembra servire: Hanno dei sistemi di scarico dell’acqua che lo rendono superfluo. In questo caso non capisco perche’ non li adottiamo anche noi. Non tanto per casa, quanto per i bagni pubblici: in effetti non li ho mai trovati sporchi. Scusate l’argomento, ma anche questo fa parte delle differenze nella vita comune! E’ cultura anche questa! 🙂

Altre cose particolari sono piu’ specifiche: ad es. in Florida esistono delle strade a pagamento che pero’ non prevedono il pagamento in contanti e nemmeno con carta di credito: sei obbligato ad avere il SunPass (l’equivalente del Telepass) o il PlatePass, che altro non e’ che aver aderito a un servizio per cui le telecamere individuano la tua targa e ti addebitano il pedaggio: con questo secondo sistema pero’ il pedaggio e’ doppio rispetto al SunPass. Ma la cosa piu’ strana e’ che non hanno caselli: semplicemente lungo la strada a volte ci sono dei pali con delle telecamere e li’ paghi senza accorgertene (non c’e’ nessun bip, come da noi col Telepass). Senz’altro e’ piu’ veloce che da noi, ma lo trovo abbastanza assurdo, soprattutto per i turisti. Ad es. con l’auto a noleggio ci hanno chiesto se volevamo il servizio col PlatePass (neanche col SunPass) e ci hanno fatto pagare 35 dollari in piu’: dicendoci pero’ che se non avessimo preso quel servizio aggiuntivo e poi fossimo passati in qualcuna di quelle strade ci sarebbero arrivate delle multe. Eh, si’, perche’ tu comunque ci puoi passare quasi senza accorgertene (ci sono dei cartelli lungo la strada, ma non c’e’ appunto alcun casello, barriera o simile) e credo che in ogni caso ti prendano la targa, pero’ se non hai aderito al servizio, invece che pagare il pedaggio ti fanno la multa!

Comunque deve essere un’innovazione degli ultimi anni, perche’ quando eravamo venuti in Florida nel 2005 avevamo fatto piu’ strade di adesso e sono sicura che non ci fossero.

A Miami Beach mi ha sorpreso che il parcheggio lungo Ocean Drive non e’ caro: costa 1,75 dollari all’ora (meno dell’euro e quaranta di Savona). Pero’ prima di pagare devi anche digitare la targa, che viene poi stampata sul bigliettino da esporre sul cruscotto: in questo modo se hai acquistato piu’ tempo di quello che poi usi, non lo puoi neanche cedere a quello dopo!

In media comunque gli americani sono un po’ piu’ ligi alle regole di noi, soprattutto al discorso dello stare in coda, del passare uno per volta, ecc. Il che non vuol dire che non ci siano i maleducati e quelli che in macchina superano i limiti, o simili, ma solo che in percentuale sono meno che da noi. La mia personale sensazione e’ pero’ che negli ultimi 10 anni questa percentuale sia un po’ salita anche qui.

Ah, anche qui e’ difficile trovare da comprare una birra solo, e ti vendono il ghiaccio a 0,89 dollari per 10 libbre (in pratica 70 centesimi di euro per quasi 5 chili!). Lo compri nei market, insieme alle birre e a bauletti di polistirolo, e te lo porti in spiaggia.

In generale gli americani sono abbastanza gentili e amano molto gli italiani: purtroppo pero’ appena sentono la parola Italia ti dicono “Oh, Sicily, Mafia!” sorridendo. E comunque quando pensano all’Italia pensano all’Italia del Sud: Napoli, la pizza, sole e mare, tarantella. Ad es. per loro la canzone italiana e’ quella napoletana di 40 anni fa!
Pero’ sono gia’ contenta che non ci dicano Berlusconi e bunga bunga.

Beh, e con questo vi saluto: se mi verranno in mente altre particolarita’ non manchero’ di farvelo sapere!

 

 

 

 

 

USA – 13 febbraio 2014 – Disney World Magic Kingdom

Siamo al Magic Kingdom Park, il parco Disney per antonomasia, quello,il cui simbolo è il castello delle fiabe, che poi per l’esattezza è il castello di Cenerentola.

Esistono altri 3 parchi Disney, tutti qui vicino, e poi molti altri parchi non Disney, da Harry Potter (che ahimè non faremo per questioni di poco tempo e perchè Alicia ancora non lo conosce e probabilmente avrebbe paura) a Universal Studio, a parche acquatici ed alto ancora.

Diciamo che è la versione per bambini di Las Vegas, anche se poi ovviamente c’è pieno di adulti.

Il solo Magic Kingdom secondo me è più piccolo di Eurodisney, ma io ci sono stata solo una volta nel 1997.

Purtroppo Alicia ha paura di fare molte attrazioni, anche quelle adatte alla sua età. Proviamo ora a portarla a Under the Sea, un trenino nella grotta della Sirenetta, il suo personaggio preferito.

Speriamo bene.

Un saluto da… where the dreams come true!

USA – 1-7 febbraio 2014 – San Diego, Palm Springs e Las Vegas

Quando abbiamo pensato a questo viaggio, non abbiamo avuto il tempo di scendere troppo nei dettagli. Abbiamo pero’ pensato che una settimana tra l’arrivo a Los Angeles e la ripartenza per Houston sarebbe comunque stata bene spesa, e che oltre a San Diego qualcosa avremmo fatto. Quando nel 2000 abbiamo fatto il viaggio di nozze, abbiamo fatto anche un piccolo tour organizzato di 4 giorni (mai scelta e’ stata piu’ azzeccata, visto che proprio li’ abbiamo conosciuto Marco, uno dei nostri piu’ cari amici, una di quelle persone che pensi che era destino conoscere e che benedici la scelta che lo ha fatto succedere) e in questo tour c’era una notte a Las Vegas. Avevamo dormito in un hotel non a tema, l’Hilton, e non avevamo giocato nemmeno un dollaro, anche perche’ la nostra efficentissima guida (Renata, di Roma anche lei come Marco) ci ha fatto assistere a tutti gli spettacoli gratuiti possibili e immaginabili negli hotel sulla strip. Ci eravamo detti: Las Vegas va bene vederla una volta, ma non vale la pena tornarci. Gia’, ma Alicia non c’e’ mai stata. Cosi’, una volta in California, il tempo non consente di andare a spiaggia, gia’ nel 2006 ci siamo fatti tutta la costa (da Santa Barbara ad Hungtinton Beach, Newport, ecc), a questo punto una puntatina a Las Vegas si puo’ fare. E poi un po’ di curiosita’, di rivederla quasi 14 anni dopo, con l’esperienza di viaggio che abbiamo adesso, ce l’abbiamo. Ma San Diego – Las Vegas e’ un po’ una mazzata (circa 6 ore), cosi’ decidiamo di fare una sosta nel mezzo.
Abbiamo sempre sentito nominare Palm Springs: non abbiamo idea di cosa ci sia, ma ce lo immaginiamo un posto da ricchi nel deserto. Per fortuna rispetto all’Australia e alle Hawaii, la California e’ davvero economica in quanto a pernottamento (per 3 notti al Best Western a San Diego abbiamo speso 169 euro in tutto: in Australia al massimo ci facevi una notte e mezzo!).
Cosi’ consultiamo il fidato booking.com (non ci ha mai deluso, anche quando il posto non era un granche’, lo sapevamo prima) e troviamo il Desert Isle Resort, che offre un mini appartamento per meno di 100 euro. Potremmo spendere meno, ma l’idea di avere un appartamentino con una cucinetta ci attira troppo. Si vive solo una volta e soprattutto noi faremo un giro del mondo solo una volta (ahime’!). Cosi’ prenotiamo. Ci attira anche l’idea della piscina riscaldata (visto che di giorno il tempo e’ abbastanza bello, ma comunque si arriva a 20-21 gradi e di notte poi fa freddo, circa 10 gradi).
L’idea iniziale e’ di partire subito per Palm Springs, per goderci appunto questi benefit, ma poi a Oceanside, che e’ di strada, poco a nord di San Diego, c’e’ il museo del surf. Inoltre il martedi’, proprio quando ci passeremmo noi, e’ pure gratuito. Da buoni liguri non possiamo perdere l’occasione! 🙂
Scherzi a parte, Gabry ha fatto alcuni anni fa amicizia su facebook con Silvia, di origini italiane, che abita a Carlsbad, praticamente attaccata a Oceanside. Sa di questo viaggio e siamo d’accordo di incontrarci. Insomma tutto combacia perfettamente.
Poiche’ nei 2 giorni precedenti ce la siamo presa comoda, partendo da San Diego dobbiamo almeno ancora passare a Mission Bay e a La Jolla.
Mission Bay e’ simile a come ce la ricordavamo, ma ora diamo importanza ai giochi per bambini, dove Alicia si diverte, ma prende anche una bella schienata cadendo dall’altalena (tranquillizate i nonni, nessuna conseguenza, e’ caduta sulla sabbia). Invece il visitor center che consentiva di prenotare gli hotel e dava il benvenuto a San Diego (per chi arrivava dalla costa nord) riporta il cartello che 3 anni fa, dopo 40 anni di onorato servizio, ha chiuso. Un po’ ci sentiamo in colpa: anche noi stiamo prenotando tutto su internet, con l’ipad: ormai certe strutture non hanno piu’ troppo senso di esistere.
La Jolla la vediamo passando proprio sulla costa (e facendo arrabbiare il navigatore, che vuol farci prendere la strada piu’ veloce, ma meno suggestiva).
Posso dirlo: “Ho visto case che voi italiani non potete neanche immaginare”! 🙂 (Va beh, Rutger Hauer non diceva proprio cosi’, ma il concetto era lo stesso).
Beh, per non farci mancare nulla, vediamo pure le foche spiaggiate sulla spiaggia (dopo i delfini e i koala, sempre visti in liberta’, non potevamo farci mancare le foche).
Insomma, ci vorremmo stare giorni qui, non poche ore: arriviamo al museo del surf un’ora prima della chiusura.

Il tipo che ci accoglie e’ davvero simpatico, e poco dopo arriva Silvia: e’ dolcissima come la immaginavamo. Chiacchieriamo un po’ (si fa per dire, io con il mio inglese, lei con il suo italiano), ma il tempo passa in fretta e ci dobbiamo salutare.

L’arrivo a Palm Springs e’ spettacolare, nel senso che quando apriamo la porta dell’appartamento rimaniamo di stucco per la sorpresa: appartamento piu’ grande di casa nostra: una camera da letto, ingresso a sala con caminetto a gas che ci accende come se fosse una luce, cucina mega accessoriata (non solo frigo, forno, forno a microonde e fornelli ad induzione, ma anche lavastoviglie e tritarifiuti, ed ovviamente pentole, bicchieri, posate, tostapane, frullatore, ecc, ecc), e 2 bagni, di cui uno con vasca e uno con mega doccia-sauna!

Dalla sala si accede direttamente al giardino interno alla struttura, con fontana, piscina riscaldata e piscina idromassaggio. Ogni villetta ha il suo patio, con sdraio e barbeque!

Insomma, un vero paradiso, tant’e’ che ci facciamo anche un bel bagno in piscina alle 8 di sera. Certo,e’ buoi da ormai un paio d’ore, e ci saranno 10 gradi, ma la piscina e’ riscaldata ed e’ tutta per noi, ed ovviamente alla reception ci hanno dato gli asciugamani appositi.

Ah, Palm Springs, un sogno! E poi ci possiamo cucinare una bella pasta!

Peccato essere arrivati tardi (ma San Diego meritava troppo) e stare solo una notte: beh, forse meglio cosi’. Non e’ il caso di abituarsi: questo non e’ certo il nostro target abituale.

L’indomani facciamo un veloce giretto per Palm Springs: giusto il tempo che Gabry possa sbirciare sotto la gonna dell’enorme statua di Marylin Monroe 😉 e di vedere da dove parte una funicolare ripidissima: sarebbe troppo da fare, ma ci vorrebbe troppo tempo e quasi un centinaio di dollari in tre. Pazienza, partiamo per Las Vegas.

Las Vegas e’ come la ricordavamo: vorremmo girare 2 orette, ma alla fine farci quasi tutta la strip dal Luxor (che e’ ad un’estremita’) al Treasure Island (che non e’ alla fine, ma oltre non ce la facciamo) ci porta via quasi 4 ore andata e ritorno. Ovviamente non sarebbe cosi’ lungo, ma tra le fontane del Bellagio, un giro a Venezia, un’entrata e uscita al Caesar’s Palace, qualche foto all’Harley Davidson Cafe’, insomma a mezzanotte e mezza prendiamo l’ultimo tram per andare dall’Excalibur al Luxor, con Alicia in braccio, che e’ stata bravissima e paziente, ma ha male a un piede e non ce la fa piu’ a camminare.

In pratica andiamo a nanna all’una e mezza: l’indomani mattina giro nel Luxor (le star del Luxor sono i Jabbawockeez, i primi che hanno visto American Best Dance Crew, un programma di gare di hip hop e break dance che da anni seguiamo in Italia) e poi dobbiamo almeno giocare un dollare a testa alle slot, che ormai sono dei computer (non c’e’ piu’ la levetta da tirare). Gabry gioca subito tutto il dollaro, vince 40 centesimi, rigioca tutto e perde tutto. Io faccio un po’ di giocare da 20, 30 centesimi. A volte perdo a volte li rivinco. Insomma, alla fine per ricordo mi faccio stampare il voucher per ritirare 50 centesimi!! Wow, dei veri giocatori incalliti!

Mentre Gabry gioca, io e Alicia siamo a 1 metro da lui, senza sederci, ma arriva il tipo della sicurezza e ci dice che Alicia non puo’ stare li’. Ci allontaniamo, ma Alicia ci resta malissimo e si mette a piangere e continua a dire “Ma cosa facevo di male?” Poverina, lo prende come se l’avessero rimproverata.

Per finire il nostro viaggio a Las Vegas abbiamo ancora una tappa: il banco dei pegni Gold & Silver Pawn: in Italia, su History Channel, guardiamo sempre Affari di famiglia: e’ un programma intelligente, perche’ facendoti vedere la gente che vuole vendere cose strane, ti fanno la storia di quegli oggetti spiegandoti un po’ di cose (a volte vendono monete, altre mappe antiche, lettere di presidenti, vecchie macchine da cucire, armi, giocattoli antichi, ecc, ecc).

Evidentemente non siamo gli unici, perche’ per entrare c’e’ da fare un po’ di coda, ma si smaltisce presto e ci compriamo pure una moneta: costa poco e non ce ne faremo nulla, ma vuoi mettere avere la ricevuta di acquisto? Ora guarderemo il programma con occhi diversi, anche se ovviamente non c’e’ nessuno dei protagonisti (cioe’ il proprietario, con suo padre e suo figlio, oltre a un dipendente).

E con questo e’ davvero tutto: ci attende un lungo viaggio di circa 4 ore verso Los Angeles, con punte minime di 41 gradi farenheit (5 gradi celsius), pioggia e becchiamo anche la nebbia!

Comunque la strada e’ immensa e piena di auto (pero’ non troppo traffico), non come il deserto fatto tra Palm Springs e Las Vegas, dove beccavamo una macchina ogni mezz’ora, e strade a doppio senso con un asfalto terribile e piene di dip! (per chi non lo sapesse, il dip e’ l’opposto di una cunetta: ce ne sono certi che se non li prendi piano ti pianti con il muso della macchina all’ingiu’).

Scusate, l’articolo non e’ certo dei migliori per lo stile. Ma scrivo di corsa, dalla camera di Houston, prima di partire per New Orleans: il tempo e’ poco, perche’ ovviamente lo dedichiamo a vedere i posti o, ahime’, a ore di auto di trasferta. E poi una volta in camera c’e’ da fare con valigie, doccia, cena, ecc.

Pero’ o scrivo male o non scrivo proprio, quindi ho pensato che agli amici facesse piacere comunque leggere qualche notizia non troppo stantia (devo ancora recuperare su Australia e Hawaii).

Con questo vi saluto e vado a chiudere le valigie.

Al prossimo articolo

 

USA – 7 febbraio 2014 – LAX: aeroporto di Los Angeles (American Airlines) bocciato!

Siamo all’aeroporto di Los Angeles: la navetta dell’hotel ci ha portato al terminal.

A parte la gentile signora che ci ha accolto, il resto non e’ stato un granche’: come alle Hawaii abbiamo dovuto fare il check-in al computer, e fin qui niente di male, anzi, a me piacciono le procedure fai da te, tecnologiche. Pero’ quando abbiamo provato a mettere il codice frequent flyer non ce l’ha accettato. Cosi’ abbiamo chiesto al personale che era li’, e si’, ci hanno risposto, ma con uno scazzo… Hanno provato a reinserire il codice loro (come se io non sapessi digitare 7 cifre che vedevano anche loro sul video), e poi mi hanno detto di chiedere al Gate. Quindi vengono stampate le carte d’imbarco e scopriamo che il posto non e’ assegnato! Il che significa che poi al gate, se non sali subito, chissa’ dove ti devi sedere (non e’ un problema, ma noi siamo con Alicia e ovviamente vorremmo rimanere vicini). Quindi ti pesano i bagagli e te li devi portare ancora per un pezzetto al controllo TSA. Finalmente liberi dei bagagli piu’ pesanti, ci dirigiamo subito al gate: si possono portare solo un bagaglio a mano ed un oggetto personale a testa. Per noi non c’e’ problema, perche’ conta anche Alicia e quindi ci stiamo dentro (ci sto dentro, fratello! 🙂 ), ma e’ la prima volta che ci capita. Tra l’altro anche la signora che ci controlla ha un certo scazzo. Quindi controllo solito al metal detector: solita trafila, spogliati quasi (niente scarpe, orologi, cardigan, il pc fuori dalla borsa, mentre i tablet possono rimanere dentro: da notare che dicono ipad per dire tablet). Passato questo ci troviamo al terminal 4: non eccezionale, ma qualche negozio e bar ci sono: solite cose. Pero’ per andare al nostro gate dobbiamo spostarci al terminal 6 e dobbiamo prendere un autobus, che passa in mezzo all’aeroporto, a fianco agli aerei: e’ la prima volta che un aereo mi decolla a 10 metri di distanza! Ecco al terminal 6: un piccolo “capannone” con un solo baretto, 7 o 8 gate, senza wifi (il LAX wifi, unico non protetto, qui arriva con “segnale assente”), e la maggior parte dei “banconi” per appoggiarsi con i pc hanno le prese di corrente rotte. Inoltre a fianco a noi c’e’ un passeggero che sembra Hugo di Lost: speriamo bene!
Ah, nei bagni la carta per asciugarsi le mani e’ finita, e la maggior parte dei distributori automatici e’ Out of order. Ah, Los Angeles, la citta’ degli Angeli!!!
Dimenticavo: e’ il primo volo (il quinto di tutto il viaggio) che e’ in ritardo di un’ora: lo abbiamo saputo appena arrivati in aeroporto. Per fortuna che e’ stata l’unica volta che ce la siamo presa comoda e siamo arrivati con meno di 2 ore di anticipo sull’orario di volo. Ora sono le 13,45: avremmo dovuto essere gia’ imbarcati, invece decolleremo alle 15 (speriamo!!!)

Ovviamente ho scritto la prima parte di questo articolo mentre aspettavo l’aereo, senza poterlo pubblicare. Lo riprendo 2 giorni dopo perche’ non ho piu’ avuto tempo.

Il volo era in ritardo di ulteriori 10 minuti, e al gate il monitor indicava che il prossimo volo era uno per Phoenix alle 16,10 anziche’ il nostro. Infatti tutti chiedevamo. Per mettere un’informazione sbagliata, non metterla proprio!

Al momento dell’imbarco abbiamo dovuto lasciare la valigia a mano prima di salire sull’aereo: abbiamo scoperto dopo che l’hanno imbarcata, ma non con i bagagli imbarcati al check-in, infatti a fine volo abbiamo dovuto aspettare subito fuori dall’aereo per riprenderla e poi andare ancora al baggage claim per gli altri.

L’aereo non era un vero aereo: era un autobus con le ali!! Aveva solo 2 file da 2, per un totale di 68 posti o giu’ di li’. Era un CRJ: credevo che per il decollo ci chiedessero di scendere e spingere! 🙂

Per fortuna erano solo 3 ore, ma Gabry se le e’ fatte tutte vicino a una signora anzianotta (sembrava peruviana o giu’ di li’) che non si capiva che lingua parlasse, che voleva che Gabry telefonasse a sua figlia (lo abbiamo intuito poi all’arrivo) durante il volo!!!! E che ad ogni turbolenza (ce ne sono state un bel po’) si faceva il segno della croce. Per non parlare di altri rumori ed emissioni odorose moleste!

Insomma, direi il peggior volo aereo della nostra vita dal punto di vista della qualita’!

Per fortuna che ormai resta solo piu’ quello per tornare a casa!

Ah, per la seconda volta ci hanno aperto il bagaglio: lo sappiamo perche’ mettono all’interno un biglietto in cui avvisano che e’ stato fatto il controllo TSA. Poiche’ una valigia non aveva i lucchetti TSA, ci hanno rotto il lucchetto e buttato via (non c’e’ piu’, quindi….). Un po’ da’ fastidio sapere che ti aprono la valigia e ti frugano tra la biancheria, anche se per carita’, abbiamo visto che si mettono i guanti, anche se ovviamente credo lo facciano piu’ per se stessi!!

Comunque American Airlines e specialmente American Eagle per ora bocciati di brutto. Hanno solo piu’ una possibilita’ di rifarsi, col volo Miami-Milano. Speriamo sia meglio perche’ li’ sono 10 ore…..